«Siamo autorizzati a pensare che i martiri, prima di essere uccisi, per creare le condizioni per cui fossero uccisi, siano stati considerati impopolari, antipatici, addirittura pericolosi, non solo per il potere costituito, ma per il sentire popolare, per la gente».
Romero e i poveri
È una Veglia particolare, quella che si svolge presso il Centro del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, nella 28esima Giornata dei Missionari Martiri. A presiedere il rito – come sempre, ormai, a porte chiuse, ma di grande intensità – è l’Arcivescovo, cui è accanto il superiore generale del Pime, padre Ferruccio Brambillasca. La piccola e sobria Cappella, recentemente restaurata come tutto il complesso, risuona di poche singole voci che rileggono brani del discorso tenuto da Sant’Oscar Arnulfo Romero in occasione del dottorato Honoris Causa conferitogli dall’Università di Lovanio, solo 50 giorni prima della sua tragica morte. Un intervento in cui risuona più volte la parola «poveri»: categoria teologica – per usare un’espressione di papa Francesco – per la cui strenua difesa monsignor Romero, arcivescovo di San Salvador, venne ucciso 40 anni fa, il 24 marzo 1980, data appunto scelta per la Giornata.
Giuliani e i martiri
E poi si ascoltano le frasi di una lettera del medico marchigiano Carlo Urbani, morto nel 2003 per restare accanto ai malati di Sars in Vietnam, e il messaggio accorato, ma pieno di coraggio e speranza, dei Vescovi della Nigeria per la Quaresima 2020. Quando padre Brambillasca legge i nomi dei 29 missionari uccisi nel 2019 – dall’Africa all’America Latina, dalle Filippine all’Europa – sembra quasi di toccare con mano il dramma anche di moltissimi altri, sconosciuti cristiani che, per la fede, sono torturati, ridotti al silenzio, imprigionati, perseguitati, irrisi. E si ripensa allora alle strane coincidenze della storia umana, che non accadono mai per caso, sotto l’immagine della grande croce dorata, circondata da piccoli ritratti di alcuni martiri del Pime. Parte ed eredi di quei Padri che nel 1870 iniziarono il loro apostolato dalla regione dello Henan e proprio dalla città di Wuhan, oggi universalmente nota per la pandemia. Testimoni di un Cristo, a sua volta, spogliato e crocifisso
L’omelia dell’Arcivescovo
«Gesù prevede e annuncia le reazioni violente del potere costituito del suo tempo, per questo motivo sarà messo a morte. I discepoli che scelgono di seguirlo sanno che non si possono immaginare una storia tanto diversa. Il potere reagisce violentemente a coloro che seguono Gesù, parlano come ha parlato Gesù, vivono come ha vissuto Gesù», dice aprendo la sua riflessione l’Arcivescovo, dopo la lettura di una pagina del Vangelo di Marco.
Cristiani insopportabili, talvolta, per motivi diversi: alcuni, perché «prepotenti, perché approfittano della loro posizione per interesse personale o di parte, perché commettono abusi. Non li chiameremo martiri. Sono insopportabili per comportamenti che non sono cristiani, sarebbero insopportabili anche per i cristiani. Ma ci sono cristiani che risultano antipatici fino a essere insopportabili, proprio perché sono cristiani». Sono i miti, «quelli che non vorrebbero far del male a nessuno, disturbare, che sarebbero contenti di essere amici di tutti. Se ne stanno tranquilli, ma viene il giorno in cui – mentre tutta la piazza è presa da una passione violenta e applaude a un capo che promette gloria e ricchezza a prezzo della libertà e della vita di altri, popoli o persone -, alzano la mano, chiedono la parola e, per quanto siano spaventati, dicono: “Io però non sono d’accordo”. Ricevono fischi e insulti, ma non possono tacere».
Sono gli operatori di pace «che amano la vita tranquilla, non sono litigiosi di natura, anzi non riescono a capire come si possa litigare. Ma viene il giorno in cui vedono il prepotente percuotere l’inerme: si fanno avanti e, anche se sentono una gran paura, si mettono di mezzo e dicono: “Non devi percuotere tuo fratello” e “La guerra è una inutile strage: facciamo la pace”. Diventano antipatici, sono accusati di viltà e di scarso amore per la patria. Non di rado pagano caro il loro mettersi di mezzo».
Sono gli assetati e affamati di giustizia «che si interessano di politica, non perché hanno ambizioni di potere, ma perché hanno a cuore il bene comune, sentono il dovere di costruire un convivere fraterno; si interessano di economia, non perché amano gestire gli affari e far rendere i loro capitali, ma perché sentono dentro una ferita ogni volta che si accorgono che i ricchi sono abili nel diventare più ricchi e i poveri sono rassegnati a diventare più poveri; si interessano di educazione, non perché sono intellettuali che vogliono farla da maestri, ma perché hanno a cuore che ciascuno realizzi la sua vocazione e metta a servizio di tutti i suoi talenti. Sono affamati, sono assetati, perciò non risparmiano critiche ai politici, agli economisti, ai sistemi scolastici».
Sono, in una parola, i martiri del e per il Vangelo: “Beati voi, quando vi insulteranno, vi perseguiteranno”. «Veneriamo i martiri e ci mettiamo incammino. Forse sarà dato anche a noi di sperimentare come sia quella gioia dell’ultima beatitudine», conclude l’Arcivescovo, prima della benedizione e del Canto dell’Ave Maria intonato davanti a una piccola statua della Madonna.