Nella settima puntata del dossier «Martini in otto parole» (leggi qui l’introduzione) si parla di «Chiesa in uscita».
Era il 1° febbraio 1995 quando il cardinale Carlo Martini Martini promulgò il 47° Sinodo della Diocesi di Milano. Un lavoro paziente che durò quasi due anni e che coinvolse molti esponenti della Chiesa ambrosiana, dalla base (rappresentanti parrocchiali) ai “quadri” di Curia, fino ai delegati di ogni realtà ecclesiale presente sul territorio. Martini, che già credeva molto alla collegialità – oggi diremmo al lavoro di squadra, alla rete, alla sinergia – dimostrandolo ogni giorno, decise di “mettersi in ascolto” del popolo di Dio. «La grande domanda che sottostava a tutti i lavori del Sinodo – scriverà lui stesso nella Lettera di presentazione alla Diocesi (riportata nel testo finale) – mi pareva infatti si potesse esprimere così: quale Chiesa vogliamo essere di fronte alle sfide che ci attendono? Con quale volto Gesù vuole che la Chiesa di Milano si presenti alla società contemporanea per servirla con umiltà e dedizione?». Quesiti impegnativi e di grande attualità ancora oggi. Per rispondere ci vollero più di 20 mesi di lavoro serrato, lunghe sedute sinodali, giornate intere di confronto e dibattito, con migliaia di emendamenti e altrettante pagine scritte e inviate di volta in volta ad arricchire la riflessione e riempire faldoni.
L’Arcivescovo, cha aveva colto le lentezze e le fatiche della Chiesa di Milano, voleva in qualche modo rivitalizzarla, rendendo gli stessi credenti, protagonisti del rinnovamento, iniettando “vino nuovo” nelle vene degli ambrosiani. Martini sognava un ritorno alla Chiesa degli apostoli, quella dei primi cristiani, una Chiesa capace di evangelizzare (non fare proselitismo), una Chiesa umile, povera e misericordiosa. Parole che ricordano molto le stesse pronunciate da papa Francesco, gesuita a sua volta.
«Che fine farà questo abbondante vino nuovo, prodotto dal lavoro paziente e costante degli operai sinodali insieme a tanti collaboratori della nostra Diocesi, se gli otri dentro i quali lo versano sono vecchi?», si chiederà Martini al termine del percorso sinodale. È come cucire una toppa nuova su una stoffa vecchia. La risposta non è facile. La ricchezza sovrabbondante (750 pagine raccolte in un volume) non sappiamo quanto sia stata recepite, accolta, vissuta dalla Chiesa ambrosiana. È certo però che rappresenta una pietra miliare del cammino delle comunità e da cui sarebbe bene attingere come a fonte zampillante per dissetarsi ancora. E ancora.
Spunti di approfondimento
Il 47° Sinodo, convocato dal cardinale Martini il 4 novembre 1993, si avviò con una processione dalla chiesa di San Carlo al Corso al Duomo. I lavori si svolsero presso l’Istituto Leone XIII, sulla cui facciata campeggiava la gigantografia del volto di Cristo (Firmavit faciem suam era il motto del Sinodo): riunioni di commissioni, 31 sessioni plenarie, un migliaio di interventi in aula, oltre 30 mila emendamenti suggeriti. Quel Sinodo ridisegnò e rinnovò radicalmente il volto e la struttura della Chiesa ambrosiana. Come detto, l’1 febbraio 1995 l’Arcivescovo ne presentò le risultanze in una Lettera alla Diocesi, improntata all’icona della Chiesa degli Apostoli. Ne proponiamo il testo integrale (leggi qui).
La voce del Cardinale
Nevicava, su Varese, la sera del 6 febbraio 1991. Nondimeno il cardinale Martini rispettò l’impegno e giunse da Milano per parlare ai partecipanti alla Scuola sulla nuova evangelizzazione promossa dal Decanato in preparazione alla missione cittadina, riuniti nella Basilica di San Vittore. Proponiamo la registrazione audio.
Nelle parole di Martini, ormai Arcivescovo emerito già da qualche anno, «la Chiesa umile» ricorda da vicino «la Chiesa in uscita» del suo confratello gesuita Jorge Mario Bergoglio, oggi papa Francesco.