La Chiesa è in debito, verso l’umanità di questo tempo, della parola del Vangelo, della grazia dei sacramenti e della profezia. Ma cosa significa questa indicazione sottolineata dall’Arcivescovo nell’omelia della Messa Crismale? A spiegarlo è monsignor Paolo Martinelli, vescovo ausiliare e vicario episcopale per la Vita consacrata maschile, gli Istituti secolari e le nuove forme di consacrazione.
Perché la parola profezia?
Anzitutto occorre dire che la profezia è una dimensione fondamentale del popolo di Dio. Quel popolo che sorge dal mistero pasquale, dalla morte e dalla risurrezione di Cristo, è di per sé profetico. Quindi, essere “in debito” della profezia vuol dire vivere fino in fondo, nei confronti della Chiesa e del mondo, quanto lo Spirito Santo suscita sempre all’interno della Chiesa. Inoltre, l’Arcivescovo ha evidenziato anche una declinazione particolarmente felice di questa profezia: la dimensione della comunione, di un rapporto nuovo, bello, positivo tra le persone.
Una profezia che, oggi, si configura come un’urgenza sentita dai fedeli e da chi non crede. In questo senso, l’appello di monsignor Mario Delpini coinvolge tutti?
È vero: è una profezia di cui si sente tanto la necessità. Infatti, si dice apertamente che siamo in debito nei confronti della società e del mondo. Davvero la Chiesa, a partire dal dono di Cristo, del suo Corpo e del suo Sangue, è abilitata a essere un soggetto di comunione che promuove, a sua volta, comunione con tutti gli altri soggetti.
In tale logica, la comunità cristiana e, prima di tutti, coloro che sono chiamati al servizio della Chiesa, possono essere considerati un concreto segno profetico portando nell’odierna incomunicabilità «l’intesa, il perdono, la condivisione premurosa, l’attenzione reciproca, la benevolenza, la stima», per usare le parole dell’Arcivescovo?
La comunione è una grande alternativa all’individualismo con cui spesso le persone si concepiscono e si trattano vicendevolmente. Ma, d’altra parte, la comunione è anche uno strumento di formidabile promozione umana contro l’omologazione e l’appiattimento delle differenze.
Nell’omelia c’è anche un riferimento al paragrafo 12 della Costituzione conciliare Lumen gentium. proprio a proposito dei diversi carismi chiamati al compito dell’edificazione comune…
Mi ha colpito l’idea che la profezia sia opera dello Spirito all’interno del popolo di Dio. Due le dimensioni – entrambe molto belle – che sottolineerei. Innanzitutto, il popolo è profetico perché ha il senso della fede: quindi, non solo i sacerdoti, ma i fedeli tutti in forza del Battesimo. Ciò significa che questa sensibilità un poco “sovrannaturale” fa capire al popolo di Dio se una cosa corrisponde al Vangelo o no. Non solo, perché un simile senso della fede è anche quell’istinto spirituale che permette di comprendere come muoversi nelle situazioni nuove. Dunque, possiamo dire che lo Spirito della profezia è appunto il “senso” che ci permette di cogliere il nuovo. C’è, poi, la dimensione dei carismi: lo Spirito Santo rende il popolo profetico attraverso tutti i carismi, condivisi e personali, perché esso, in ogni tempo, sia capace di vivere all’altezza della sua missione.