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Anniversario

Majo, prete essenziale e uomo generoso

A vent'anni dalla morte, un ricordo del sacerdote che fu arciprete del Duomo dal 1974 al 2002, valorizzando la Cattedrale con un’intensa attività editoriale e culturale

di Giuliano VIGINI

7 Luglio 2023
Monsignor Angelo Majo con l'abito dei Canonici del Duomo

È sempre difficile per un amico ricordare una persona con cui ha condiviso lunghi anni di vita e di impegno culturale. A vent’anni dalla morte (7 luglio 2003) di monsignor Angelo Majo, arciprete del Duomo di Milano dal 1974 al 2002, credo però che ai suoi numerosi amici, conoscenti e collaboratori faccia piacere questo piccolo ricordo di lui, che peraltro continua a vivere nel pensiero, nell’affetto e nella preghiera di molti.

La persona e il ministero

Ciascuno di quanti lo hanno frequentato e gli hanno voluto bene avrà certamente ritagliato dentro di sé qualche particolare aspetto della sua personalità o qualche momento della sua multiforme attività culturale e pastorale. A me piace innanzitutto ricordare di lui il prete di solida spiritualità, amante dell’essenziale e alieno dai fronzoli, ben radicato nelle certezze della fede e dell’insegnamento della Chiesa, e insieme l’uomo: molto generoso con tutti, soprattutto con suore e preti in stato di maggior bisogno, in Italia e all’estero; entusiasta ed esuberante nello slancio delle idee come dei rapporti umani; trasparente e franco, incapace di contorsioni verbali, parole fumose e mezze misure, dotato di un profondo senso dell’amicizia e della riconoscenza, non dimenticando mai chi gli aveva fatto del bene.

Entusiasmo contagioso

Quest’amicizia, oltretutto, non era soltanto un intenso legame di affetti; prima o poi diventava anche ideale, orizzonte, impegno da condividere. Aveva infatti quell’entusiasmo contagioso che coinvolgeva in tante iniziative da lui intraprese come organizzatore, editore, giornalista, e si era come naturalmente portati a seguirlo. Sarebbe difficile qui ripercorrere le tappe di una vita intensa, spesa nella generosità del servizio. Nel 1937 era entrato nel “Seminarietto” del Duomo retto da monsignor Cesare Dotta e, dopo gli studi di teologia nel Seminario maggiore, era stato ordinato sacerdote (11 giugno 1949). Prima professore e vicerettore del “Seminarietto” (1949-1960); poi rettore-preside del Collegio Villoresi-San Giuseppe di Monza (1960-1970); infine (1971), nominato dal cardinale Giovanni Colombo canonico teologo del Capitolo metropolitano e, tre anni dopo, arciprete del Duomo.

Il Duomo come stella polare

Da quel momento è stato tutto un seguito di iniziative editoriali e culturali, aventi sempre come stella polare il Duomo, e tutto quello che poteva servire a farlo conoscere e valorizzare. Senza contare tutti i fatti e le celebrazioni che negli anni porranno il Duomo e la Chiesa ambrosiana sotto le luci della ribalta: basterebbe ricordare, per gli anni Ottanta, il XX Congresso eucaristico nazionale (1983), le due visite pastorali di Giovanni Paolo II (1983-1984), il IV centenario della morte di San Carlo (1984) e il VI centenario della fondazione del Duomo (1986). In questo susseguirsi di eventi in cui la Cattedrale sarà costantemente al centro, il ruolo dell’Arciprete, nel suo infaticabile impegno di valorizzazione della vita liturgica e del patrimonio di fede, arte e storia della cattedrale, sarà sempre determinante.

L’elogio più bello per il lavoro compiuto glielo aveva espresso – già in una lettera del 20 ottobre 1986 – il cardinale Colombo, con cui Majo avrà, fin dagli anni della formazione seminaristica, lunghi e intensi rapporti di confronto, stima e amicizia:
«Caro Mons. Majo,
mentre vibrano ancora in cuore le soavi commozioni suscitate dalla solenne liturgia di ieri in Duomo permetti che ti scriva il mio grazie sincero perché tra altri artefici del restauro della nostra cattedrale culminato nel rinnovato presbiterio, sei stato uno dei più convinti e appassionati sostenitori. E ringrazio prima ancora il Signore per avermi suggerito, a suo tempo, il tuo nome per l’ufficio di Arciprete della nostra più cara e più grande chiesa diocesana. Con abbraccio fraterno: tuo aff.mo
Card. Giovanni Colombo».

Piace ricordarlo con queste parole, che ben tratteggiano la figura di un sacerdote che ha lasciato nella Chiesa ambrosiana una traccia che non si cancella.