«A mio modo di vedere, lo straordinario valore dell’enciclica è l’accorato appello del Papa al lavoro comune, al “fratelli tutti”, alla promozione attiva di una governance globale in tutte le dimensioni della politica internazionale». Lo sostiene Paolo Magri, vicepresidente esecutivo dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) e docente di Relazioni internazionali all’Università Bocconi di Milano.
Nell’enciclica il Papa chiede un pianeta dove siano assicurati «terra, casa e lavoro a tutti. Questa è la vera via della pace». Un messaggio forte al mondo per una globalizzazione che punti su solidarietà e amicizia sociale per sognare un’altra umanità. Sarà ascoltato?
È un messaggio forte e alto seppure non nuovo: riprende il «non c’è pace senza sviluppo, non c’è sviluppo senza pace» di Kofi Annan nei primi anni 2000 e in diversi interventi dello stesso Papa. E il fatto che non sia nuovo la dice lunga su quanto sia stato ascoltato. Ribadito oggi, in piena crisi economica mondiale post-pandemia, è un monito su possibili sviluppi politici e geopolitici di una protratta recessione, molto vicino alle parole dell’attuale Segretario generale Onu che ha definito la pandemia «la più grave crisi alla sicurezza mondiale».
Una delle questioni aperte in questa epoca sono le migrazioni. Per affrontarle il Papa chiede «una governance globale». Quali strade si possono percorrere?
A mio modo di vedere lo straordinario valore dell’enciclica è l’accorato appello del Papa al lavoro comune, al «fratelli tutti», al “sapere locale con orizzonti universali”, alla promozione attiva di una governance globale in tutte le dimensioni della politica internazionale. Le migrazioni, da sempre al centro della sua attenzione e preoccupazione, ma molto di più: la gestione della crisi sanitaria, di quella economica, dell’ambiente, della globalizzazione. Con un messaggio forte e chiaro, quello del sogno di una «società fraterna», dove ci si «avvicina alle altre persone nel loro movimento, non per trattenerle nel proprio».
Il Papa indica nei nazionalismi, nei populismi, nell’alimentare paure e divisioni, i fattori negativi da condannare. Quali scenari vede su questi fronti a livello internazionale?
Ho trovato particolarmente significativa la sottolineatura della distinzione fra leader «popolari» e «populisti» e il richiamo a una politica che «elabori progetti per tutti». Senza ovviamente entrare nelle vicende politiche di molti Stati – in primis l’America di Trump – emerge con chiarezza la preoccupazione del Papa per le divisioni che si stanno accentuando dentro gli Stati e fra gli Stati, che aumenteranno con molta probabilità nei prossimi mesi e anni in conseguenza delle crisi post-Covid.
A 75 anni dall’istituzione nell’enciclica si chiede la riforma dell’Onu per una maggiore efficacia nella risoluzione pacifica delle controversie, condannando in modo radicale tutte le guerre. Come valuta questa proposta?
Un giusto monito, ahimè con scarse possibilità di traduzione pratica. L’Onu riflette la salute dei rapporti fra i suoi soci, soprattutto i più potenti: ne è il termometro. In questo momento c’è febbre alta con un prevalere dell’“ognun per sé , si salvi chi può”, che si traduce in molti ambiti in un “tutti contro tutti “ ovvero nella negazione del we, United Nations su cui poggia la costruzione onusiana. Difficile attendersi azioni ambiziose, ancor più difficile pensare che ci siano le condizioni – oggi – per una riforma radicale come quella accennata dal Papa. Francesco porta però, giustamente, lo sguardo di tutti in alto, verso obiettivi necessari seppur non di immediata realizzazione.