Sono tanti e diversi i modi con cui si reagisce all’insorgere della malattia, «quando la sofferenza viene a visitarci»: si prova risentimento, senso di ingiustizia, o, magari, si sceglie «di affidarsi ancora più a Dio, alla sua misericordia che rende anche noi misericordiosi e capaci di amare, perché amati».
È un racconto umanissimo quello con il quale l’Arcivescovo delinea la sua riflessione – espressa anche nella liturgia della Parola celebrata, poche ore prima, presso il Santuario del beato don Carlo Gnocchi -, presiedendo la celebrazione eucaristica nella Basilica di Santa Maria di Lourdes, in occasione della XXX Giornata mondiale del Malato. Messa tradizionale in uno dei più amati luoghi mariani della città e della Diocesi che, nella perfetta riproduzione della grotta di Lourdes contigua alla parrocchia, vede l’11 febbraio di ogni anno tanta gente di tutte le età riunirsi in preghiera davanti alla Madonna, accendendo un cero e portando un fiore.
I volontari, qualche malato, comunque presente con le precauzioni necessarie, la decina di sacerdoti della zona, il raccoglimento dei fedeli: tutto parla di «una comunità impegnata a lodare il Signore», come spiega il parroco don Maurizio Cuccolo, che porge il saluto di benvenuto al «carissimo monsignor Mario», ricordando la grazia di aver accolto in questo Anno pastorale una consacrata dell’Ordo Virginum, di aver visto un giovane entrare in Seminario e di poter contare, presso la vicina SS. Trinità, su un diacono del Pime. Non manca il ricordo per don Pino Penuti e don Sergio Gianelli, entrambi parroci a Santa Maria di Lourdes, tornati alla casa del Padre tra fine settembre e inizio ottobre 2021.
L’omelia dell’Arcivescovo
Tre le immagini simboliche e altrettanti i nomi che l’Arcivescovo propone avviando l’omelia (leggi qui il testo).
«Luigi, da quando sua moglie si è ammalata, è arrabbiato con Dio e non va più in chiesa; coltiva un profondo risentimento, è convinto di subire una ingiustizia, un castigo che non ha meritato». Al contrario, Marina che, «da quando la figlia si è ammalata gravemente, è tornata ad andare in chiesa, a pregare ogni giorno e che, anche quando è a casa, si fa aiutare dalla radio e dalla televisione per dire il rosario». E ancora il brillante Giorgio, giovane di belle speranze: «Quando si è ammalato, e doveva passare più tempo in ospedale che a casa, sembrava che il mondo crollasse e che la disperazione lo trascinasse nell’abisso». È lui che, «tentato di essere infelice, si è accorto, però, di essere capace di seminare gioia anche in ospedale, di offrire un sorriso a ciascuno, divenendo l’angelo del sorriso».
Chiarissimo il richiamo: «Nella giornata dell’ammalato, pensiamo alle persone che conosciamo, ognuno con il suo volto, la sua storia, le sue domande, i drammi e le rivelazioni, ma dobbiamo anche contemplare l’opera di Dio che è misericordia: cioè presenza amorevole per chi lo invoca e anche per chi non lo invoca, per chi lo conosce e per chi non vuole nemmeno conoscerlo. Dio è potenza che salva condividendo la sofferenza di chi soffre, nella notte angosciosa della prova, con la tenace fedeltà nell’amore».
Così si comprende, con le parole del Vangelo di Luca, titolo del Messaggio di papa Francesco per la Giornata 2022, «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso», ciò che appare talvolta arduo, se non impossibile, vivere: «La misericordia di Dio non è solo un farsi vicino di Gesù, manifestazione perfetta della misericordia del Padre che incontra i malati e li guarisce. Gesù dona lo Spirito e ogni figlio di Dio riceve la grazia di vivere come il Figlio di Dio. La Giornata del malato è giornata di preghiera perché ci sia sollievo per chi soffre; è giornata di grazia perché in ogni condizione, sani o malati, anziani o giovani, poveri e ricchi, tutti accolgano l’amore che rende capaci di amare, misericordiosi perché circondati dalla misericordia del Padre; capaci di essere angeli del sorriso anche in un ospedale, nella solitudine di una camera, in una famiglia che compatisce».
Infine, la benedizione dei fedeli con il Santissimo, portato tra le mani dall’Arcivescovo che percorre, fino ad arrivare all’esterno, la navata centrale della chiesa.