Tra le molteplici e svariate iniziative dedicate a ricordare don Lorenzo Milani nel centenario della nascita, l’Istituto di Scienze Religiose di Milano organizza un corso, valido come formazione Miur, nei sabati 14 e 21 ottobre (9.30-13), sul tema specifico di don Milani educatore (vedi qui programma e modalità di iscrizione in presenza oppure online).
Il corso è strutturato in modo particolare. Si presenta sabato 14 ottobre nella forma del convegno, durante il quale verranno presentati e attualizzati alcuni temi presenti nell’opera educativa di don Milani, che saranno approfonditi e rielaborati il sabato successivo. Questa strutturazione permette, a chi è interessato, due tipi di partecipazione: la presenza (gratuita) al convegno del 14, oppure l’iscrizione (su piattaforma Sofia) all’intero corso, vedendosi riconosciute le 8 ore di formazione Miur.
Il convegno del 14 ottobre è pensato in forma esperienziale. I presenti verranno sollecitati, oltre che dall’ascolto degli interventi, dalla recitazione musicata di alcuni testi milaniani e saranno chiamati a partecipare criticamente allo svolgimento didattico di una lezione tenuta dalla presidente dall’associazione La piccioletta barca Beatrice Gattesti, con i ragazzi che stanno frequentando il suo percorso formativo.
Riprendere l’ispirazione
Si vede dunque come l’approccio all’opera di don Milani abbia seguito una prospettiva particolare che conviene esplicitare. Non si è voluto semplicemente ricordare e riportare la storia di una particolare esperienza educativa; neppure prendere in prestito alcuni motivi dominanti, decontestualizzandoli e impiantandoli in una società e in una scuola radicalmente mutate. Come ricordare don Milani, riprendendone l’ispirazione che, abbiamo visto, ancora oggi fa discutere e divide i suoi interpreti?
Don Milani è un personaggio pubblico, spesso citato dal mondo della cultura e della politica nei modi e nei contesti più diversi, esponendosi così al rischio del ritratto stereotipato, confinato in alcune celebri espressioni che, ripetute come slogan, perdono il loro riferimento e la forza espressiva. Tornare a leggere don Milani non è dunque facile e neppure scontato. Si rischia la trasposizione decontestualizzata di un’esperienza che, ridotta a modello, inevitabilmente si impoverisce.
Per evitare di snaturare e dunque travisare un’esperienza fortemente caratterizzata a livello territoriale e storico, si è ritenuta necessaria una prima chiarificazione di tipo storiografico – fra pedagogia, politica e cambiamento sociale – di cui si occuperà il professor Fabio Pruneri (Università di Sassari).
La centralità della parola
Tornare a leggere don Milani significa inoltre confrontarsi con la sua scrittura, a cui bisogna riconoscere un innegabile valore letterario. Sappiamo che don Milani pesava la parola scritta con grande scrupolo: calibrava e levigava la sintassi, dosandola secondo i contesti e le situazioni. Si è anche evidenziato, in questa centralità data alla parola, l’influenza della sua origine ebraica. Resta il fatto che il suo messaggio non può prescindere dalla varietà dei registri linguistici adoperati con cura da don Milani. Le letture musicate di alcuni dei suoi testi che si inseriscono tra gli interventi del convegno, recitate dall’attore Andrea Tibaldi, assumono la finalità di aderire al testo, cercando di restituire la particolare tonalità del discorso milaniano. L’apporto musicale, eseguito al piano dallo scrivente, è teso a indovinare il registro del testo, affinché possa rendersi espressivo.
Formazione, non addestramento
Ci sembra che la rilettura di don Milani debba tenere conto dei registri espressivi e linguistici – anche provocatori e “fuori misura”, per sua stessa ammissione – in cui si sviluppa, sempre mirati a coinvolgere l’ascoltatore, a intessere una relazione come precondizione essenziale del processo educativo. Si tratta della questione del «dare parola» (Roberto Maier) e del «prendere parola» (Marco Moschetti). Il problema di don Milani è di comunicare con quel mondo che sta vivendo trasformazioni violente e spersonalizzanti per togliere i ragazzi da una condizione di soggezione e di passività, affinché intraprendano un cammino formativo e non siano semplicemente addestrati alle nuove condizioni sociali.
Bisogna prima di tutto offrire agli studenti il linguaggio come strumento essenziale per intraprendere il processo formativo. Ci sembra sviante, in questo senso, affermare che la scuola di don Milani impartisse solo contenuti “utili”, se il criterio di utilità non viene immesso nel necessario abito critico/espressivo che i ragazzi di don Milani dovevamo possedere come indispensabile prerequisito formativo.
Le nuove Barbiane
Si è parlato delle “nuove Barbiane” ad indicare le scuole che sono nate ispirandosi alla lezione di don Milani. Abbiamo scelto, per i motivi sopraesposti, di presentare l’esperienza educativa de La piccioletta barca, imperniata appunto sul ruolo e sulla potenza del linguaggio al fine di intraprendere un reale percorso educativo non riducibile all’acquisizione delle competenze e degli strumenti funzionali al meccanismo sociale, quanto finalizzato piuttosto a liberare energie critiche e creative.
La declinazione dell’amore Il modo di scrivere di don Milani è legato alle vite che incontra, sembra costituirsi come immediata ripercussione fissata nella parola per non svuotarsi della situazione concretamente vissuta, quasi a ricrearne la forza e l’urgenza, come a farcela rivivere impedendoci di dimenticarla: a Barbiana si deve vivere completamente e integralmente, fino a prenotarsi la tomba. È forse questo il senso ultimo che possiamo dare al tema della cura espresso dalla famosa espressione «I care»? Se ne occuperà, nei suoi risvolti pedagogici, la prof.ssa Barbara Rossi durante la ripresa dei temi milaniani programmata nel secondo sabato del corso.
Si tratta di una opzione esistenziale che converte la tua esistenza al fatto educativo. Senza entrare nel merito della discussione circa il ruolo predominante che agisce nella figura del prete/educatore don Milani, si avverte comunque il radicamento esistenziale assunto dal suo ruolo di educatore, impossibile a essere inteso e svolto come una “professione”; piuttosto come declinazione di quell’amore che don Milani, confessa provocatoriamente, ha dato più ai ragazzi che a Dio.
Tale responsabilità verso la propria vita e quella degli altri si svolge in modo non richiesto e in un luogo marginale. È una fedeltà a quei ragazzi e a quella condizione nella quale don Milani si è trovato a vivere. Fedeltà a un luogo dove, scrive don Milani, non c’è nulla, quasi a trovarvi un significato proprio nella marginalità vissuta, nello scarto del sistema che ha incontrato. Forse la visione educativa di don Milani, prende forza e significato proprio da questa marginalità, come a prefigurare una “pedagogia dello scarto” che chi scrive cercherà di esporre nell’ultimo intervento del corso.