«La figura di san Josemaría Escrivá de Balaguer ispira la nostra sequela di Gesù e il suo insegnamento ci aiuta a riconoscere che la cosa importante non è il successo o il fallimento. È importante, invece, incontrare Gesù attraverso questi segni: il servizio, l’obbedienza alla sua Parola, lo stupore, il riconoscimento del proprio limite e la decisione di seguirlo». Nel giorno della festa liturgica del fondatore dell’Opus Dei, a 102 anni dalla sua nascita e a 22 dalla canonizzazione, l’Arcivescovo, che presiede la celebrazione in onore del Santo, ne ricorda con questa consegna il carisma, rivolgendosi ai moltissimi fedeli legati alla Prelatura che affollano il Duomo, come ogni anno in questa occasione.
Persone di ogni età, da tanti giovani a famiglie intere e agli anziani, riuniti per la Messa – nello stesso giorno in tutto il mondo si svolgono riti che fanno memoria del fondatore -, concelebrata da una decina di sacerdoti, tra cui il vicario per l’Italia della Prelatura, don Giovanni Manfrini, e don Carlo De Marchi, sacerdote dell’Opus Dei che fa parte del Consiglio presbiterale.
«Vorremmo che questa festa diventasse per ciascuno un’occasione per ritornare alla fonte della vita cristiana, cioè alla nostra vocazione battesimale», dice don Manfrini richiamando la vita come vocazione e portando il saluto del prelato dell’Opus Dei, monsignor Fernando Ocáriz. «Pensiamo che da questa fonte possa nascere la pienezza della gioia, l’evidenza della speranza che l’Arcivescovo, al termine della Visita pastorale alla città di Milano, ci ha invitato a riscoprire e a coltivare». Senza dimenticare il valore relazionale e vocazionale del lavoro affermato più volte da sant’Escrivá che fondò l’Opus Dei nel 1928.
Opera che in virtù dell’emanazione, nel luglio 2022, del Motu proprio di papa Francesco Ad charisma tuendum, teso «a tutelare il carisma dell’Opus Dei e a promuovere l’azione evangelizzatrice che i suoi membri compiono nel mondo» e del successivo dell’8 agosto 2023, in cui vengono modificati alcuni canoni relativi alle prelature personali, è impegnata in un profondo lavoro di riorganizzazione.
Le barche del fallimento e del successo
Dalle «due barche accostate alla sponda», in riferimento al brano di Vangelo di Luca 5 con l’episodio della pesca miracolosa – vengono, infatti, come sempre proclamate le letture proprie della Messa del Santo – si avvia l’omelia. «Le due barche raccontano della notte della fatica inutile, sono le barche del fallimento: le buone intenzioni non bastano, l’esperienza e la competenza non ottengono i risultati desiderati. Alla sponda di ogni lago sono accostate le barche del fallimento: forse il racconto di ogni vita comprende anche il capitolo dell’insuccesso, del sogno che non si è realizzato, della frustrazione, non solo delle fantasticherie ingenue, ma anche delle aspettative legittime, dei progetti ragionevoli che la vita ha costretto ad abbandonare».
Che pensare, allora, «constatando che alla sponda del nostro lago sono accostate le barche del fallimento?». Dare la colpa a se stessi, al castigo di un Dio che non si cura di noi, alla sorte, al destino?
«Il racconto evangelico – spiega l’Arcivescovo – termina ancora con le due barche tirate a terra. La scena sembra la stessa, ma la situazione è tutta diversa. Non sono più le barche del fallimento. La pesca stavolta è stata sovrabbondante, tutte e due le barche si sono riempite fino a farle quasi affondare. Il dono del lago è stato eccezionale. Le barche tirate a riva raccontano dell’inizio di un’altra storia, di una vita nuova». Proprio perché «c’è un oltre che chiama» e «né il fallimento, né il successo sono la verità della vita».
L’incontro con il Signore
Al contrario, «quello che è decisivo è l’incontro che rivela la presenza del Signore: sia che si debba continuare la vita di sempre, sia che si apra un capitolo nuovo, è il Signore che visita la tua vita e la chiama. La barca del fallimento è abitata dal Signore che se ne serve come di una cattedra per insegnare alle folle; la barca del successo rivela la presenza del Signore che chiama oltre. La verità della nostra vita è la vocazione con la quale il Signore ci chiama».
La verità di un incontro che «dice del servizio – ciò che ho, quello che so fare, il tempo di cui dispongo è per servire – e che indica «l’obbedienza alla parola che spinge al largo, che comanda di pescare ancora, di non abitare nella rassegnazione, nel risentimento, nello scoraggiamento», perché Gesù è la parola affidabile. E, poi, l’incontro che apre allo stupore «per ciò che il Signore opera», permettendo «di riconoscere il proprio limite, la propria inadeguatezza» e di prendere la decisione di seguirlo, come fecero i discepoli.
E, alla fine, della celebrazione, arriva ancora un ringraziamento per la figura di san Josemaría Escrivá de Balaguer che «ha ispirato la vita di tante persone nel mondo, di tutti voi e di tutta la Chiesa. Qualunque sia la nostra barca, sia abitata dalla vocazione alla santità».