L’ultima domenica di Avvento, fin dalla più alta antichità cristiana, ha assunto e conservato una chiara connotazione mariana che, nella tradizione liturgica ambrosiana, è diventata sempre più marcata. È la cosiddetta Domenica dell’Incarnazione del Signore o della Divina Maternità della beata sempre vergine Maria, festa che trova corrispondenze nella liturgia romana nella solennità di Maria Santissima Madre di Dio, celebrata il 1° gennaio, giorno ottavo del Natale. La sesta domenica del lungo Avvento ambrosiano viene a configurarsi come il grande portale d’ingresso nella liturgia natalizia, invito a contemplare con un unico sguardo di fede il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio e della Divina Maternità di Maria: lo «scambio di doni mirabile», in cui «il Creatore del genere umano, nascendo dalla Vergine intatta per opera di Spirito santo, riceve una carne mortale e ci elargisce una vita divina» (antifona alla comunione). «Dite alla figlia di Sion: "Ecco, arriva il tuo Salvatore"» (Lettura: Is 62,10-63,3b): è la speranza che accompagna la nostra preghiera. La liturgia si fa invito ad andare oltre la semplice preparazione immediata del Natale per contemplare il mistero stesso di Dio. L’attesa, suscitata dalle promesse di Dio e sempre sostenuta dalla certezza della sua fedeltà, inizia a trovare un compimento nella storia: «Ogni miseria che ci è venuta da Adamo è vinta dalla sovrabbondanza del dono di Cristo» (prefazio). «Il Signore è vicino!» (Epistola: Fil 4,4-9) e chiede a ciascuno di disporsi all’incontro con Lui, imitando la fede umile e accogliente della vergine Maria: «Allora Maria disse all’angelo: "Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?". Le rispose l’angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio". Allora Maria disse: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola"» (Vangelo: Lc 1,26-38a). La liturgia è invito a lasciare entrare Dio nella nostra quotidianità: allora essa sarà trasformata, secondo la sua promessa, e il mondo potrà ricevere la testimonianza che nulla è impossibile all’amore eterno e fedele di Dio.
La liberazione dà gioia, giorno di festa per offrire doni
Le ferie prenatalizie «dell’Accolto» offrono la proclamazione dei libri di Rut ed Ester e delle pagine del Vangelo secondo Luca che narrano gli eventi che precedono e accompagnano la nascita di Giovanni, il precursore, e di Gesù.
Al centro è il tema della discendenza davidica del Messia, richiamato dalla vicenda di Rut che, grazie al matrimonio con Booz, entra nella genealogia di Davide: «Così Booz prese in moglie Rut. Egli si unì a lei e il Signore le accordò di concepire: ella partorì un figlio… Noemi prese il bambino, se lo pose in grembo e gli fece da nutrice. Le vicine gli cercavano un nome e dicevano: "È nato un figlio a Noemi!". E lo chiamarono Obed. Egli fu il padre di Iesse, padre di Davide» (Rt 4,8-22 – giovedì).
Nel racconto di Rut la soluzione dei problemi non è chiesta a Dio, ma è affidata alla capacità degli uomini di fede di individuare la mano provvidenziale di Dio, nascosta dietro e negli avvenimenti e di mettersi al suo servizio. Dio interviene direttamente solo due volte: all’inizio rendendo feconda la terra perché doni il pane e alla fine con il dono della gravidanza che rende feconda Rut. Questi interventi racchiudono tutto il racconto: «Allora si levò lei e le sue due nuore e fece ritorno dai campi di Moab, poiché aveva udito nei campi di Moab che il Signore aveva visitato il suo popolo dando ad essi il pane» (Rt 1,6- lunedì); «Il Signore le [a Rut] diede una gravidanza e partorì un figlio» (Rt 4,13 – venerdì). In tal modo trovano soluzione i due problemi fondamentali posti dal racconto: la mancanza di cibo e di discendenti.
La scelta di Rut di lasciare il padre, la madre e la propria terra per andare verso un popolo straniero evoca la figura di Abramo (Rt 2,11 e Gen 12,1). Il suo gesto di cercare rifugio sotto le ali del Dio di Israele richiama la liberazione dall’Egitto (Rt 2,12 e Es 19,4; Dt 32,11 – martedì).
Rut è accolta da Booz come figlia d’Israele non perché dell’etnia d’Israele – ella continua, infatti, ad essere la «moabita» – o per la sua obbedienza alle leggi giudaiche, ma per essersi concretamente impegnata per Noemi e quindi per il suo popolo (Rt 1,16-17- lunedì). È questo impegno a suscitare in Booz una condivisione dei suoi beni. È la sua generosità a illuminare le tenebre di Noemi, aprendola ancora alla speranza. È come se su una strada tutta curve, ad ogni svolta si incontrassero sorprese inattese: l’una dopo l’altra, troppe per essere attribuite al caso!
Nella preghiera di intercessione di Ester, che ottiene la salvezza del suo popolo, la tradizione patristica ha intravisto la figura di Maria che, accogliendo l’annuncio dell’angelo, ottiene da Dio la salvezza del suo popolo «Ester parlò di nuovo al re, cadde ai suoi piedi e lo pregava di rimuovere il male fatto da Amàn, tutto quello che aveva fatto contro i Giudei…» (Est 8,3-7a. 8-12-mercoledì). La liberazione è motivo di gioia, giorno di festa in cui offrire doni e da ricordare di generazione in generazione: «In quei giorni infatti i Giudei ebbero tregua dai loro nemici, e quello fu il mese, Adàr, nel quale essi passarono dal pianto alla gioia e dal dolore a un giorno di festa; perciò esso deve essere considerato tutto quanto come un periodo di giorni festivi, di nozze ed esultanza…» (Est 9,1. 20-32 – giovedì).
Per il 24 dicembre è prevista solo la solenne celebrazione vigiliare vespertina, che introduce, con una prolungata catechesi biblica, nel «giorno felice» della nascita del Salvatore.
Disponendoci a celebrare il mistero dell’Incarnazione la liturgia sostiene il nostro cammino, perché «l’annunzio gioioso del Natale di Cristo risuoni nel nostro cuore» e ci sia dato «di intuire con fede più penetrante la bellezza salvifica di questo mistero».