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Università

L’Europa tra sogno e disincanto

Le speranze per una reale integrazione e la preoccupazione per i crescenti sovranismi al centro della riflessione nella quarta edizione della «Martini Lecture» alla Bicocca

di Annamaria BRACCINI

24 Maggio 2023

La nascita del sogno di un’Europa unita, le trasformazioni che hanno portato, tra vittorie e sconfitte, all’Unione attuale. E poi la transizione geopolitica di un’Ue che – dopo la crisi del 2008, la Brexit, la pandemia e adesso la guerra – è a un bivio, anche nella sua autocomprensione. Un’Europa che, forse, sono due perché c’è lei e la sua ombra.

A «L’Europa e la sua ombra. Un continente di fronte alla responsabilità del futuro», è stata dedicata la quarta edizione della «Martini Lecture», svoltasi nell’Auditorium dell’Università Bicocca e promossa dal Centro pastorale “C.M. Martini”, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, la Fondazione Carlo Maria Martini e l’editore Bompiani, con il patrocinio della Diocesi di Milano. Relatori i due autori della pubblicazione che dà il titolo all’incontro: Giorgia Serughetti, ricercatrice in Filosofia politica presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale della Bicocca; Gilles Gressani, presidente del Groupe d’études géopolitiques e fondatore della rivista Le Grand Continent. Coordinatore del dialogo, Beda Romano, corrispondente da Bruxelles de Il Sole 24Ore.

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Dopo il benvenuto di Federico Gilardi, direttore del Centro Martini in Bicocca, la rettrice dell’Ateneo Giovanna Iannantuoni porta il suo saluto: «È venuto il momento di chiedere a noi stessi un cambio di passo, mettendo in campo azioni concrete per incentivare la parità di opportunità e rendendo ogni ragazzo e ragazza libero di poter scegliere il proprio futuro. Oggi non è così. Quello che dobbiamo augurarci è che la forza etica e morale dell’Europa sia sempre più capace, non solo di arginare i conflitti, ma di costruire una comunità di pace».

Martini, intuizioni utili anche oggi

Padre Carlo Casalone

Padre Carlo Casalone, gesuita, presidente della Fondazione Carlo Maria Martini, osserva: «La capacità di lievito e di novità del pensiero di Martini permette di portare frutti oggi e nel domani. Il tema dell’Europa è stato molto caro al Cardinale anche nella sua veste di presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee dal 1986 al 1993. La situazione attuale è molto cambiata da allora, dopo la caduta dei due blocchi, che ha portato a un sistema di alleanze multiple e di ambiguità nel posizionamento dei Paesi. Il risultato è una complessità molto maggiore rispetto al passato, ma pensiamo che le intuizioni martiniane possano ancora ispirare il presente». Due i punti citati da Casalone: «La capacità di riconoscere una pluralità di linguaggi in Europa, anche dal punto di vista religioso, con la necessità di trovare punti di riferimento condivisi per motivare percorsi comuni». Da qui il ruolo centrale della Bibbia, «un libro plurale in sé, scritto in ebraico e in greco, con il Primo e il Secondo Testamento; libro unico, ma specchio di una pluralità di posizioni e tradizioni. Martini era particolarmente affascinato da quella congiunzione “e”, simbolo di coesistenza plurale».

Dalla «militarizzazione dell’Unione europea che è sotto gli occhi di tutti, con la decisione di approntare decisioni comuni in questo senso», muove l’introduzione di Romano: «La guerra in Ucraina ha fatto scegliere di acquistare insieme armi e di pagarle insieme. Questo può fare temere una corsa al riarmo e occorre, quindi, interrogarsi sul cammino europeo, in vista anche delle elezioni del prossimo anno».

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Alla resa dei conti

«I firmatari del Manifesto di Ventotene volevano far avanzare il nuovo che era appunto la creazione di un organismo sovranazionale. Colorni, Rossi, Spinelli volevano questo – sottolinea Serughetti nella sua articolata comunicazione -. L’Europa, dove è nata l’idea dello Stato-Nazione, poteva diventare la culla di una realtà sovranazionale. In uno scenario mutato rispetto a quello della fondazione dell’Unione, oggi vediamo che, di fronte alla necessità di fronteggiare la pandemia, l’Europa ha fatto rete e che, anche in campo climatico ed energetico, si è rafforzato un impegno comune. Ma occorre notare che la risposta a tali sfide non è riuscita a mettere al riparo dal più grande nemico dell’Ue: i nazionalismi».

Giorgia Serughetti

Anche se persino i partiti sovranisti si sono resi conto, soprattutto nella realtà post pandemica, «che l’architettura comunitaria è utile. Il progetto diventa allora, per loro, quello di far convivere sovranismo e Unione, lasciando comunque ai singoli Paesi politiche specifiche e molto sensibili, come la tutela dei diritti specie verso le minoranze».

Dunque, ecco le due Europe: «Una che ambisce a una maggiore integrazione e la sua ombra che si nasconde nei muri, nei fili spinati, dove i nazionalismi hanno già vinto, Ma bisogna ricordare che questi sono i sintomi e non la malattia. La causa profonda della regressione del progetto europeo risiede nella delusione nella perdita di fiducia verso la capacità delle istituzioni comunitarie di agire come soggetto politico per affermare i valori fondativi e per contrastare la crescente di diseguaglianza sociale sia all’interno degli Stati membri, sia tra loro. Il disincanto oggi minaccia di generare manifestazioni crescenti di risentimento molto pericolose».

Un continente in bilico

Al contrario, «il sogno di un’Europa unita come strada per superare la piaga dei nazionalismi nasce, ovviamente, dalla forza della speranza. Una speranza nutrita nel tempo più buio, quello delle più grandi catastrofi del secolo scorso. Nasce inoltre – e questo è un punto su cui ci si sofferma troppo poco a riflettere – dall’esperienza e dall’immaginazione di donne uomini confinati, deportati, esuli. Sembra che oggi ad amare l’Europa sia soprattutto chi l’Europa non ce l’ha o, meglio, chi non ce l’ha e guarda a essa come a una necessità. Ricordiamocelo. Il sogno europeo vive nel desiderio di chi attraversa le frontiere, scompaginando le idee dei confini e delle nazioni e facendo risaltare il concetto di pace inclusiva da cui nacque l’Europa con la sua utopia», la conclusione di Serughetti.

Dalla domanda posta dal sociologo Bruno Latour nella sua ultima lezione alla Sorbona di Parigi – «Il suolo europeo sta cambiando sotto i nostri piedi?» – si avvia la riflessione di Gilles Gressani, che parla di una «transizione geopolitica» dell’Europa, «per cui è continuata un’integrazione comunque, in modo magari grigio e freddo, anche se molti danno, ogni giorno, l’Europa per morta». Così come scriveva Mario Draghi nel 2012, «la zona euro è molto più forte di quanto la gente creda». «Ma il rischio è che l’Europa diventi un’unione di vertice che non interessa più alla gente, come scriveva Martini», sottolinea il relatore. Una sorta di «bel giardino dove tutto funziona circondato da una giungla», per usare un’espressione di Josep Borrell, alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza.

Gilles Gressani

«L’idea è di un Europa percepita come un luogo separato, rispetto a una versione inferiore del mondo. Un lettore sottile come Martini aveva capito tutto questo, quando già nel 1989 scriveva: “Abbiamo sbagliato per aver considerato l’Europa come il centro del mondo e noi stessi come superiori ad altri. Per molti popoli che vivono altrove, questa parte del mondo relativamente piccola di nome Europa non si caratterizza per una ricerca di dignità umana, di libertà e di giustizia sociale.  Dobbiamo essere capaci di aprire porte e finestre”».

Una visione – questa – definita di «realpolitik necessaria per la costruzione del bene comune, non di un’economia comune». Esattamente ciò che aveva intuito profeticamente il Cardinale anche a proposito delle migrazioni, viste come «occasione storica per il futuro dell’Europa, occasione di bene o di male a seconda di come le governeremo».

Forse basterebbe riflettere solo su queste parole della Lettera pastorale Farsi prossimo per capire quanto l’Europa sia oggi in bilico e quanto il testo biblico possa essere davvero un modo per interpretare il lessico familiare di una casa comune, attenta alla dignità della persona, di ogni persona.

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