Recentemente l’esigenza della pace è entrata prepotentemente nelle università sotto forma di protesta da parte degli studenti contro le autorità accademiche, in particolare per la guerra a Gaza. In realtà, la situazione sembra complessivamente ripresentare, se non acuire (qualche volta anche in forma violenta), le contrapposizioni, vanificando la ricerca della riconciliazione.
L’insegnamento e lo studio della teologia vogliono al contrario favorire un’autentica mentalità di pace, non inseguendo l’attualità (ci vorrebbero altre competenze, a cominciare dalla diplomazia), ma trovando le radici delle motivazioni per un «artigianato della pace», di cui si sente estremamente il bisogno: oggi, prendendo a prestito il linguaggio della rivoluzione digitale in cui siamo inseriti, potremmo parlare di un lavoro «da remoto».
Così le scienze bibliche ci aiutano a comprendere i testi sacri, superando un accostamento immediato, parziale e improvvisato, che rischia di essere più legato ai nostri schemi mentali che non alla cultura del tempo in cui sono stati scritti: il rischio di una lettura unilaterale e fondamentalista non è così lontano.
Lo studio della storia della Chiesa permette di esaminare, per esempio, le ragioni, ma anche i limiti e la testimonianza contro-evangelica, delle crociate e delle guerre di religione, per scoprire come è possibile chiedere perdono, evitare gli errori del passato, rompere la catena della violenza e della vendetta, per non assoldare mai Dio alle nostre logiche di contrapposizione e odio. Il contributo della filosofia può aiutare a individuare le radici dell’aggressività presenti in ogni essere umano, i «vantaggi» del confronto con chi vive e pensa diversamente da sé, le motivazioni che sorreggono ogni cultura a ricercare i motivi della convivenza civile per la crescita personale e per il fiorire delle civiltà. La teologia è impegnata a mostrare come si configura la fede nell’unico Dio di Gesù Cristo: la sua paternità non è un impedimento al rispetto reciproco e alla convivenza pacifica, perché non si tratta di un’imposizione universale, ma del dono di una fraternità che rispetta la dignità e le differenze di tutti. Le tradizioni culturali e religiose diverse dalla propria sono un’occasione per riscoprire, valorizzare e comporre in una sintesi organica e articolata le caratteristiche e i motivi della fede vissuta.
Superare paure ingiustificate
Lo studio delle altre religioni (cui l’Istituto superiore di scienze religiose riserva ampio spazio negli anni in preparazione alla Licenza) permette una conoscenza lontana dai luoghi comuni, che sola può garantire un incontro reale con le fedi diverse dalla propria: l’ignoranza dell’altro, delle sue ragioni e del suo credo, è forse il motivo più solido e nascosto per alimentare una paura ingiustificata, che alimenta il sospetto e la chiusura. Naturalmente, la teologia morale sociale ha una parola decisiva sull’argomento: lo sguardo che Dio ha sulla convivenza umana dev’essere il faro che guida i credenti e l’intera comunità ecclesiale a porre la logica evangelica al di sopra di tutte le altre motivazioni (storiche, politiche, economiche, strategiche e militari).
Ne viene un compito, necessario e urgente, per la Chiesa, chiamata a essere «comunità alternativa»: la comunione tra i discepoli di Gesù, motivata dalla fede e operata dallo Spirito, nonostante le differenze di comportamento e di visioni del mondo, può e deve essere segno eloquente della carità divina, in grado di plasmare le relazioni e le persone, ma anche di insinuare dubbi e interrogativi in chi si nutre soltanto di contrapposizioni e soffia sul fuoco della lotta e della guerra.
A un simile compito vuole contribuire, con le proprie competenze, anche l’Issr di Milano. Perché l’apporto di questi studi non è inutile per il nostro oggi.