Tre parole, per dire tutta la bellezza di una vita donata. Sono quelle che l’Arcivescovo propone ai molti che partecipano al Convegno su piattaforma, “La vita è bella, non perché tu hai, ma perché tu dai”, promosso dal Servizio diocesano per la Pastorale della Salute. Rivolto, in specifico, ad associazioni di volontariato, assistenti spirituali, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, responsabili di Comunità pastorali, responsabili decanali per la Pastorale della Salute, l’incontro, a più voci, viene aperto dal collegamento, appunto, con il vescovo Mario che dice.
«La prima parola è il mio motto episcopale: “La terra è piena della gloria di Dio”, perché, considerando il volontariato e quanti vivono la loro professionalità come dedizione, mi confermo nella persuasione che la terra è davvero piena della gloria di Dio. E questo nonostante «i luoghi comuni, le indagini e le statistiche che sembrano fatte per deprimerci e per dire che la terra è piena di altre cose come l’egoismo, l’individualismo, le malattie, le sconfitte dell’umanità».
Una gloria che, al contrario esiste e si rende visibile mai come ora, con i volontari e tutti gli operatori che ne sono la testimonianza viva.
«La gloria di Dio è l’amore che rende capaci di amare, è l’inclinazione degli uomini e delle donne ad amare perché sono stati amati, perché c’è un amore che li ha creati, e quindi si potrebbe dire che la gratuità è frutto della gratitudine». Come a dire, gratuitamente ho ricevuto, gratuitamente dono. «Voi ne siete una testimonianza che sempre mi commuove, che segna una speranza per l’umanità e che sempre merita di essere incoraggiata».
Poi, un secondo suggerimento che si chiama «il dovere di rispondere a una promessa».
«Quando noi diciamo “devo”, ciò può venire dal fatto che c’è un precetto, un ordine, qualcosa che – legittimamente o meno – comunque mi viene imposto, anche se per una giusta regolamentazione». Ma è chiaro che il dovere che sente il volontario o chi si occupa degli altri con generosità è ben altro. «Questo dovere non nasce da una normativa imposta, sanzionata con la minaccia di una punizione, nasce invece da una promessa che fa nascere, a sua volta, un desiderio». Quello che fa diventare donne e uomini migliori, che possono essere fieri di sé anche, magari, solo donando un sorriso, accarezzando un anziano, stringendo la mano una persona «che si sentiva sola, che doveva affrontare un momento drammatico, un intervento chirurgico, un ricovero difficile. Perciò io metto in evidenza questo dovere che nasce perché si risponde volentieri, liberamente, a una promessa. Soltanto così si arriva a una gioia vera, libera e duratura: perché si serve, perché si dona agli altri».
Infine, la terza parola, la vocazione. «Le sofferenze degli altri, le ferite del Pianeta, sono una voce che chiama. Per questo la nostra vocazione è risposta a tale soffrire che, talvolta, si presenta sotto i nostri occhi in modo drammatico. È chiaro che la figura del buon samaritano – che papa Francesco ha commentato nella sua Enciclica “Fratelli tutti” – sia proprio il modello a cui ispirarsi. L’altro è un fratello che conosce il mio nome, che sa che io ho un cuore misericordioso, perciò può aspettarsi un soccorso, una forma di premurosa attenzione e aiuto».
Il Convegno
Nell’articolarsi delle testimonianze di medici, esperti del settore e di chi opera nel volontariato, il dialogo, moderato dal responsabile del Servizio per la Salute, don Paolo Fontana, si avvia con la riflessione del cappellano del “Pio Albero Trivulzio”, don Carlo Stucchi.
«La vita è bella. Chi mai l’ha detto? Solo un pazzo può affermarlo. Eppure è una necessità. La vita va, in qualche modo almeno, accolta per essere vissuta. Compito del volontario è testimoniare che la vita va vissuta con coraggio e orgoglio. Nella sua complessa dignità e nel grande mare dei diversi campi in cui opera, il volontariato è sempre esistito», osserva don Stucchi, che aggiunge. «Con la Legge-quadro del 1991 il volontariato ha acquisito il diritto di presenza negli ambiti della vita civile, sociale e politica e ha affermato il valore aggiunto della gratuità, non così scontato. Il volontario dovrebbe mediare tra diritto e dovere. La dissennata pretesa del proprio diritto può generare pigrizia, superficialità, insoddisfazione. Il volontario, invece, sa motivare il suo impegno, la sua relazione di vita, non solo con la presenza, ma con l’esempio e con la testimonianza».
Parole che trovano un’immediata conferma nell’esperienza dei relatori, tra cui i medici oncologici Alberto Scanni e Momcilo Jankovic (specializzato nell’ambito infantile); nel pediatra Giuseppe Ponzi, in Giovanni Verga, presidente del Comitato “Maria Letizia Verga” – che porta il nome della figlia morta per leucemia – e di Roberta Sala, amica e paziente, alla Clinica “De Marchi”, con Maria Letizia e oggi guarita. Non manca Federico Pellegatta, coordinatore infermieristico della “Casa Sollievo Bimbi”, hospice del Vidas
«I care giver sono molto provati e non abbastanza ricordati. Tenerne conto significa tenerli anche da conto come risorsa importantissima per la Nazione», viene sottolineato.
Roberta Sala, da anni volontaria in oncologia pediatrica, spiega: «Il mio impegno mi dava sempre più la consapevolezza di dove volevo andare e che persona volevo essere. Sentivo di voler fare di più, quasi a voler rendere qualcosa per ciò che mi era stato dato e, da 13 anni, mi reco anche in Brasile per le vacanze estive a sostenere persone e bambini. Sono anche diventata soccorritore 118 sulle ambulanze della Croce Rossa. L’anno di Covid mi ha insegnato molto e mi confermato nella mia intuizione iniziale».
Toccante anche la testimonianza di Pellegatta. «Per portare avanti un’assistenza a bambini cronici complessi e inguaribili, occorre avere mani abili ad agire, occhi vigili e orecchie attente, oltre che alla dimensione biologica, a quella biografica. La vita deve essere bella anche per questi piccoli».