«Gioia, collaborazione, stupore». Sono le tre parole-chiave che per don Claudio Mainini, fidei donum in Camerun, esprimono in sintesi la visita pastorale dell’Arcivescovo di Milano in terra d’Africa dal 27 dicembre al 5 gennaio. La gioia e la festa, spiega il missionario ambrosiano, sono stati una costante nei vari incontri e celebrazioni; la collaborazione, termine ripetuto più volte, è quella tra le due Chiese, Milano e Garoua. Infine lo stupore di Delpini di fronte all’accoglienza, all’impegno, al calore e all’amicizia dimostrati nei suoi confronti.
Che cosa ha significato per le comunità locali di Garoua e di Mbalmajo la presenza dell’arcivescovo di Milano?
A Garoua, grande ringraziamento per la collaborazione che dura da oltre 40 anni per la presenza dei missionari ambrosiani. Abbiamo visitato anche le parrocchie da cui sono passati alcuni fidei donum, poi lasciate ai preti locali. A Pitoa è venuto anche don Bruno Vitari (che ora è a Bertoua) dove è stato per 10 anni e lo ricordano ancora con riconoscenza per il lavoro svolto. A Djalingo erano presenti anche le autorità civili (prefetto, sindaco, capo tradizionale…) che hanno portato consegnato all’Arcivescovo i loro doni in segno di gratitudine.
E a sud del Camerun, a Mbalmajo, com’è andata?
Siamo stati al Coe (Centro orientamento educativo) ed è stata una grande festa, per loro era un onore la presenza dell’Arcivescovo e il riconoscimento di un lavoro di 50 anni. È una bella realtà, che non conoscevo e ho visitato per la prima volta. Ci hanno mostrato le attività che svolgono: scuole, anche d’arte, e l’ospedale Saint Luc, dove purtroppo molte attrezzature sono vecchie o guaste per cui si è ridotto il numero delle incubatrici per i neonati e c’è una sola sala operatoria in funzione. Tuttavia ci hanno presentato con orgoglio il lavoro che svolgono in ospedale. Poi siamo andati in cattedrale perché il Vescovo di Mbalmajo, mons. Joseph-Marie Ndi-Okalla, ha voluto salutare Delpini, all’incontro erano presenti rappresentanti di gruppi e movimenti, ragazzi e giovani delle scuole cattoliche con insegnanti ed educatori.
Avete incontrato anche l’arcivescovo di Yaoundé?
Sì, mercoledì mattina siamo andati da mons. Jean Mbarga che ci ha parlato dello sviluppo della città e dell’importanza della Chiesa. La capitale (4 milioni di abitanti) si sta sviluppando molto, tanti lasciando i loro villaggi e le loro tradizioni e vi si trasferiscono in cerca di lavoro. Per questo la comunità parrocchiale diventa un punto di ritrovo e aggregazione, ma anche di identità e appartenenza etnica. Si sta creando un divario tra la capitale e i villaggi dove restano vive le tradizioni e le usanze. A Yaoundé non ci sono fidei donum, ma la casa provinciale delle suore del Pime che hanno comunità sparse in diverse zone del Camerun.
Come vive la dimensione della fede il popolo camerunese, specie nelle zone rurali?
È stato uno dei temi affrontati tra noi in questi giorni. A Mbalmajo ne parlavamo con una suora che ha studiato antropologia e le varie etnie. Si diceva che il Vangelo deve ancora entrare nella loro cultura ed essere incarnato. La religiosità è molto forte, ma anche le tradizioni e lo spiritismo, quindi la gente (e a volte anche i preti locali) si rivolgono allo stregone. Rispetto alla capitale nei nostri villaggi la tradizione è ancora forte, come pure il legame dell’etnia e col clan familiare, da cui dipendono scelte e decisioni personali, anche in merito al matrimonio o alla consacrazione.
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