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Sirio 18 - 24 novembre 2024
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«Il Segno»

Chiesa, cosa fare dei beni inutilizzati?

Molte parrocchie hanno un patrimonio immobiliare da gestire, ma la diminuzione dei preti e dei praticanti impone scelte lungimiranti: la Diocesi di Milano ha indicato le linee guida. Se ne parla nel numero di ottobre del mensile diocesano

di Luca FRIGERIO

22 Ottobre 2024

da Il Segno di ottobre

Lo si sente ripetere spesso, soprattutto sulle “piazze” social, tra pettegolezzo e disinformazione: la Chiesa è ricca, ha un sacco di proprietà e di immobili. Gli indignati di turno, poi, non perdono l’occasione per lanciare le solite invettive. I poveri? I profughi? I terremotati? Se li prendano in casa i preti, con tutti gli appartamenti che hanno… Che poi in molti casi avvenga proprio così, poco importa. Intanto l’ennesima pietra è stata scagliata.

È vero, la Chiesa – da quella universale a quella locale, passando per quella diocesana – possiede un grande patrimonio immobiliare. Creato nel corso dei secoli dalla generosità e dalla operosità di generazioni e generazioni di fedeli, per le esigenze del culto e per le opere della carità, ma anche per l’educazione e per la cultura: chiese e cappelle, oratori e scuole, asili e ospedali, cinema e teatri, musei, centri sociali e di aggregazione. Luoghi, in molti casi, che sono ormai beni dell’umanità, per la loro importanza storica e artistica. O che, spesso, sono il punto di riferimento sul territorio per intere comunità, e non solo per chi frequenta la parrocchia.

Edifici in “esubero”: che fare?

La questione è come gestire tutti questi beni. Oggi che il numero dei sacerdoti è in continua diminuzione, insieme a quello dei praticanti. In uno scenario generale dominato, in Italia, dalla crisi demografica e influenzato dalla presenza di altre religioni e di diverse culture.

Così che la Chiesa cattolica, anche quella ambrosiana, si ritrova con “troppi” edifici di culto, “troppi” oratori, “troppi” immobili rispetto alle esigenze attuali. Un patrimonio che va comunque curato e manutenuto, con oneri e costi sempre maggiori, a fronte di entrate sempre più ridotte: il tutto, ovviamente, senza rinunciare alla missione di evangelizzazione che le è propria. Una sfida da far tremare i polsi…

Proprio Il Segno, nell’aprile del 2022 (leggi qui), si era occupato del fenomeno delle “chiese chiuse”, cercando di capire come la Chiesa, e non solo quella cattolica, sta affrontando il problema della dismissione di quei templi che, per diverse ragioni, non sono più utilizzati, tra abbandono, riconversione, gestione alternativa.

Nel caso degli immobili diversi dagli edifici di culto la questione appare forse meno delicata, ma ancora più impegnativa, proprio per la quantità di beni interessata. Un fronte sul quale la Diocesi di Milano sta lavorando da tempo, soprattutto attraverso un suo servizio dedicato, l’Ufficio Parrocchie, guidato da don Paolo Boccaccia. Con l’arcivescovo Mario Delpini che ha scritto non una, ma ben due lettere programmatiche indirizzate espressamente ai membri dei Consigli degli affari economici parrocchiali: Amministrare con responsabilità, nel 2020, e La cura dei beni della Chiesa, nel 2022.

«Le linee guida sono chiare – spiega don Paolo -: amministrare con responsabilità significa guidare le parrocchie con competenza e serietà, tenendo conto dell’aspetto pastorale rilevato, ma anche dell’impegno finanziario richiesto. Come è sotto gli occhi di tutti, in generale le offerte diminuiscono, a fronte di costi che aumentano: chi amministra, dunque, deve fare in modo che la parrocchia riesca a stare in piedi economicamente. Allo stesso tempo, e anche questa è un’esperienza condivisa, vediamo che diversi beni una volta utilizzati oggi non lo sono più, per mancanza di operatori e di fruitori. Bisogna innanzitutto avere consapevolezza di ciò, e agire quindi di conseguenza: prendendo decisioni e facendo scelte che, nel rispetto delle comunità e nella riconoscenza per quanto i nostri padri hanno fatto, siano soprattutto profetiche, che è la linea propria della vera evangelizzazione».

Le linee guida

Ci sono comunità mosse dall’ardore della carità che desidererebbero mettere a disposizione di chi ha bisogno ogni spazio della parrocchia. E altre che, consapevoli del valore che hanno certi immobili nelle zone più appetibili delle città, vorrebbero metterli tutti a reddito a prezzo di mercato, per finanziare le opere parrocchiali stesse.

Atteggiamenti legittimi e meritori entrambi, ma che vanno inquadrati in un giusto equilibrio e in uno sguardo che non sia rivolto solo alla realtà locale, ma all’intero orizzonte diocesano. Come puntualizza don Paolo, «le due prospettive non solo possono, ma devono conciliarsi. È un po’ come in famiglia, dove i genitori per il bene dei figli e della famiglia stessa devono saper gestire le risorse disponibili. Così devono essere gli amministratori parrocchiali, i sacerdoti e i laici: spiritualmente ricchi, ma anche economicamente oculati. Se non si percorre una strada di responsabilità amministrativa, infatti, si rischia di indebitare le parrocchie al punto di far venir meno anche quelle attività caritative così importanti e meritorie».

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