Il riconoscimento della funzione pubblica del lavoro di cura svolto dal terzo settore, la valorizzazione culturale ed economica della alta professionalità degli educatori e operatori della cura, il ripensamento dei percorsi formativi universitari per queste professioni, un serio e strutturale investimento di risorse economiche sul settore. Sono, in sintesi, i pilastri necessari per ricostruire il settore della cura, le richieste che le realtà del terzo settore lombardo fanno a gran voce alle istituzioni, per affrontare una situazione che sta diventando sempre più un’emergenza: la carenza strutturale di educatori e di professionisti del welfare. Una carenza che incide pesantemente sulle persone e famiglie più fragili e sulle comunità locali.
I numeri sono frammentari, ma danno l’idea della dimensione del problema: solo negli ultimi mesi, in Lombardia, sono state chiuse sette comunità per minori. Nelle case d’accoglienza mamma e bambino, si rischia di perdere circa 500 posti. La mancanza di educatori tocca molti servizi del welfare: dalle comunità che ospitano ragazzi provenienti dal circuito penale, a quelle che si prendono cura di giovanissimi con fragilità psichiche, dalle accoglienze per minori stranieri non accompagnati alle educative scolastiche, così importanti per affiancare bambini con disabilità o bisogni educativi speciali.
Il manifesto è stato elaborato da cinque soggetti del terzo settore milanese e lombardo (Forum del Terzo settore, Caritas Ambrosiana, Cnca, Alleanza delle Cooperative Italiane Welfare Lombardia, Uneba), che si sono riuniti oggi nella sede della Caritas Ambrosiana, in via San Bernardino a Milano, per affrontare unitariamente il tema e affidare le proprie proposte a istituzioni, mondo accademico, organizzazioni sindacali e opinione pubblica.
Una narrazione diversa
Il lavoro di cura è oggi mortificato: perché ritenuto solo un’appendice, nemmeno necessaria, del settore sanitario, per la carenza di investimenti economici. Non ne viene riconosciuta la professionalità ed è malpagato. E spesso è svalutato e raccontato dai media con molti pregiudizi.
E invece le professioni di cura, in particolar modo il lavoro in ambito socio-educativo, svolgono una fondamentale “funzione pubblica” di tutela dei diritti dei cittadini, in primis le fasce più fragili. Occorre riconoscerlo e riaffermarlo con vigore.
Il cambio della relazione tra terzo settore e Pa
Riconoscere la funzione pubblica del lavoro di cura significa che il terzo settore non può essere solo esecutore di prestazioni stabilite con bandi al “massimo ribasso”, e inoltre il lavoro di cura non può essere completamente delegato al terzo settore. Si chiede che la co-progettazione sia reale e concreta.
Il riconoscimento della professionalità degli operatori
Il lavoro di cura è sempre più complesso, chiede di saper affrontare situazioni di vulnerabilità grave, il disagio psichico vissuto dagli adolescenti nelle comunità, le difficoltà connesse ai percorsi migratori… È faticoso, richiede turni e orari lavorativi sempre più impegnativi. Dall’altro lato, è uno dei lavori meno riconosciuti economicamente: gli stipendi sono bassi, irrispettosi della competenza e della qualità professionale e della responsabilità richiesta. Bisogna allora ripensare ai contratti di lavoro, perché corrispondano al valore reale di queste professioni nel garantire il bene comune e la tutela dei diritti garantendone la sostenibilità.
Contemporaneamente, non sempre i percorsi formativi riescono a coniugare a sufficienza la preparazione teorica con la pratica lavorativa: è necessario anche ripensare ai curricula formativi tra università e rappresentanti del mondo del lavoro.
Investimento di risorse economiche
Garantire stipendi adeguati significa garantirne la sostenibilità da parte degli enti gestori, che in gran parte sono cooperative sociali rette da soci-lavoratori. Non è possibile sostenere il costo di retribuzioni più giuste da una parte, e servizi di qualità, un “buon lavoro”, agli utenti dall’altro, se le entrate della comunità si basano su rette e bandi al massimo ribasso, dove non vengono riconosciuti quei costi indiretti, che pure fanno la qualità del servizio.
Si richiede agli enti locali una maggior capacità di alzare la voce e di essere capaci, insieme, di pretendere maggiori risorse e investimenti da parte dello Stato.
Un nuovo patto
È fondamentale creare un nuovo patto tra terzo settore, organizzazioni sindacali, associazioni professionali, università per individuare strategie e azioni e lavorare insieme a obiettivi politici condivisi, per ridare valore al lavoro di cura. I promotori si impegnano a condividere piattaforme rivendicative unitarie, chiare, coerenti su cui convergere tutti, che siano capaci di connettere e valorizzare le reti a livello nazionale, regionale, locale.
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