Sabato 20 febbraio, a partire dalle 17, si svolgerà in streaming la quarta sessione del percorso socio-politico proposto dalla Diocesi di Milano, iniziato nello scorso mese di ottobre per proseguire fino a maggio, nel quale viene analizzato da diverse prospettive l’argomento del «Leggere la storia con sguardo sapiente»: l’incontro vedrà come relatori la professoressa Elsa Fornero e il professor Pietro Ichino, con i quali dialogheremo partendo dal tema del «Lavorare con sapienza».
In un periodo storico estremamente complesso come quello che stiamo vivendo, con le conseguenze in termini occupazionali della crisi pandemica, almeno in parte attutite dal perdurante blocco dei licenziamenti, occorre ragionare senza indugio sul “dopo”. Del resto, che il grande tema sia il lavoro, il quale non può essere ridotto soltanto ai numeri dell’occupazione – lungi da noi attribuire allo stesso una visione meramente economicista – ce lo ricorda il Magistero di papa Francesco, dal quale può cogliersi la dimensione integrale di questa esperienza, che metta autenticamente al centro della società la persona che lavora.
Da ultimo, nella recente enciclica Fratelli tutti, il Santo Padre ha posto efficacemente alcune questioni ineludibili, non solo per i credenti, ma per tutto il mondo contemporaneo e per i decisori politici in primo luogo: «Per quanto cambino i sistemi di produzione, la politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri a ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità e il proprio impegno». Parole quanto mai attuali, che il giuslavorista non può non leggere anche alla luce dell’art. 4 della Costituzione, in virtù del quale la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
In realtà il tema delle politiche per il lavoro è stato storicamente trascurato non soltanto dalla politica, ma anche, per certi aspetti, dalle parti sociali e dagli studiosi. Certamente l’estrema tecnicalità della materia non ne aiuta la comprensione, caratterizzata altresì dalla ripartizione di competenze legislative tra Stato e Regioni sancita nel 2001 dalla riforma del Titolo V della Costituzione. Eppure si tratta di una questione che a mio avviso ha una valenza centrale, poiché, in estrema sintesi, si tratta di rispondere alla impegnativa domanda: «Come si cerca lavoro in Italia»?. A me pare che si tratti di una questione di democrazia.
In un recente paper dal titolo «Un buco nero nella forza lavoro» che ho curato insieme al professor Alessandro Rosina per il progetto “Laboratorio Futuro” dell’Istituto Toniolo (e liberamente consultabile sul sito http://laboratoriofuturo.it/), rielaborando alcuni dati Istat abbiamo evidenziato come ben l’87,3% delle persone in cerca di occupazione non passa per i canali ufficiali, rivolgendosi agli stessi soltanto un quarto delle persone in cerca di lavoro. Inoltre il ricorso ai Centri per l’impiego è stato ritenuto utile solamente dal 2,4% dei nuovi occupati e la percentuale cresce, ma non di molto, con riferimento alle agenzie private, ritenute utili soltanto dal 5,2% dei nuovi occupati per la ricerca del loro nuovo lavoro. Dunque il lavoro si cerca attraverso canali e reti informali. Probabilmente niente di nuovo sotto il sole, per i più disincantati. Ma mi pare centrale la tutela dei tanti che non dispongono di quelle reti e di quei canali per ragioni che possono essere di carattere sociale, culturale, territoriale.
Si deve investire sul lavoro di qualità, che garantisca i diritti dei lavoratori nonché la sostenibilità, anche ambientale dell’attività svolta, e anche su questo dovranno concentrarsi gli sforzi del decisore politico, alla luce delle imponenti risorse disponibili con il programma Next Generation Eu.
E ciò, è bene evidenziare, non soltanto per (pur imprescindibili) esigenze di natura etica, ma altresì per ragioni di carattere giuridico e politico, al fine di attuare pienamente la previsione contenuta nella seconda parte dell’art. 4 della Costituzione (che si lega in maniera inscindibile con il già summenzionato diritto al lavoro) per cui «ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».