Il popolare giornalista si dice personalmente colpito dalla bufera
che ha recentemente travolto il calcio italiano: «È spiacevole
che l’opinione pubblica pensi che anche tu sapevi e hai taciuto.
Purtroppo manca la “cultura” della sconfitta. Germania 2006
ci dà l’occasione per rilanciare l’immagine del nostro sport»,
che eventi come Torino 2006 avevano saputo nobilitare
di Mauro Colombo
Per la prima volta dal 1970 Bruno Pizzul – che ha caratterizzato con la sua voce tante telecronache della Nazionale italiana – non segue dalla tribuna stampa un Mondiale di calcio (anche se lo sta commentando per La 7, Telenova e la nostra testata). «Sono in pensione da qualche anno e ormai mi sono abituato, anche se il Mondiale effettivamente era diventato una consuetudine – spiega il popolare giornalista -. “Da fuori”, però, hai una visuale più ampia , hai più possibilità di vivere il senso della grande festa, dell’unione di tanti popoli e di tante culture nel segno del calcio».
In particolare questa volta in Germania, dove per la prima volta sono stati rappresentati tutti i continenti…
E questo allargamento non ha prodotto notevoli squilibri tra le varie Nazionali, come si poteva pensare: squadre-materasso non ne esistono più, sono tutte abbastanza preparate sul piano fisico e anche su quello tattico.
Il Mondiale è seguito ovunque grazie alla televisione. Lo sport è diventato evento planetario proprio grazie al piccolo schermo. Poi però questo binomio ha provocato danni…
E’ vero. In origine c’è stato un reciproco vantaggio: la tv ha dato molto allo sport e lo sport ha dato molto alla tv. Successivamente il rapporto si è sbilanciato nettamente a favore della televisione, impadronitasi dei meccanismi, degli orari, delle regole stesse delle discipline sportive: pensiamo all’introduzione del tie-break nella pallavolo o alla finale dei 100 metri alle Olimpiadi di Seul, disputata alle 10 del mattino (un’assurdità per i bioritmi degli atleti) perché era l’ora di maggiore audience negli Usa. Nel calcio questo sbilanciamento è stato reso ancor più evidente dalla gestione dei diritti televisivi e dai suoi risvolti economici, che ha stravolto i calendari. E poi, alla tv come sui giornali, di calcio si parla troppo, e quando si parla troppo si finisce per parlare anche a sproposito.
Se non altro, il Mondiale è riuscito a distogliere, almeno in parte, l’attenzione dalle brutture di casa nostra…
Sì, con la speranza che la Nazionale, al di là dei risultati, sappia proporsi sempre nella maniera giusta nei suoi comportamenti. In questo senso, avremmo fatto volentieri a meno della gomitata di De Rossi contro gli Stati Uniti. All’immagine del calciatore italiano sicuramente non giovano violenze, proteste, sputi e atteggiamenti da divi intoccabili. In più c’è Calciopoli: a differenza di casi del passato, i giocatori ne sono toccati solo marginalmente, ma c’è comunque la tendenza a far rientrare anche loro in questo immondo “calderone”. Di fronte a eventuali provocazioni o manifestazioni di antipatia, i nostri devono essere bravi a non reagire. È l’occasione per dare rinnovato lustro al nostro calcio, del quale chi va in campo resta comunque il rappresentante principale.
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