Subito dopo l’inizio della Santa Messa i fedeli, insieme al sacerdote, compiono l’atto penitenziale, con il quale, davanti a Dio e alla comunità, si riconoscono peccatori e si affidano alla divina misericordia. Confessando con umiltà il proprio peccato e invocando la grazia del perdono, essi manifestano il loro sincero pentimento e si dispongono a vivere l’intera celebrazione eucaristica (dalla preghiera all’ascolto della Parola; dalla consacrazione alla comunione) con l’animo purificato.
Ordinariamente, l’atto penitenziale si struttura in quattro parti: l’invito al pentimento; il silenzio; l’invocazione della misericordia; l’«assoluzione» del sacerdote. Per tutta la sua durata i fedeli rimangono in piedi, perché, nonostante la miseria del loro peccato, il Padre li tratta ancora da figli e, pieno di compassione, si getta al collo di ciascuno per dare loro il bacio della comunione e della pace (cfr. Lc 15, 20).
La formula più consueta di invito al pentimento («Fratelli, per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati») è solo una fra le tante, ma contiene indicazioni preziose: sottolineare il vincolo di fraternità di tutti i fedeli in Cristo e la conseguente solidarietà di tutti nella colpa; richiamare all’esigenza di celebrare l’eucaristia purificando il cuore da tutto ciò che ci ha allontanato da una vita santa; invitare a confessare pubblicamente, almeno in forma generale, il male commesso (riconosciamo i nostri peccati).
Il silenzio che segue l’invito è necessario e non va mai omesso. Esso offre una breve pausa per rientrare in se stessi e portare alla coscienza la malizia del male che abbiamo commesso e di cui in prima persona siamo stati responsabili. In quel breve silenzio si possono formulare nel cuore le parole del Salmo: «Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto» (Sal 50, 6).
La parte centrale dell’atto penitenziale è l’invocazione della misericordia divina. Forma tipica della tradizione ambrosiana sono le tre acclamazioni a Cristo (Tu che…), ognuna delle quali si conclude con la supplica Kyrie, eleison, espressa dal sacerdote e ripetuta dall’assemblea dei fedeli. In questa supplica, con il termine Kyrie ci rivolgiamo a Gesù Signore, risorto e vivo alla destra del Padre, mentre con il verbo eleison gridiamo con il cieco di Gerico «abbi pietà di me!» (cfr Lc 18, 38). Sacerdoti e fedeli si rivolgono a colui che, risorgendo da morte, ha trionfato sul potere del peccato e della morte, per ottenere ciò che una volta per sempre ha realizzato sulla croce: la riconciliazione con il Padre; la remissione dei peccati; la pace del cuore; la comunione fraterna; l’ingresso nel regno dei cieli; la risurrezione e la vita eterna.
In alternativa ai tre Kyrie eleison ci sono altre possibilità: l’antica formula «Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli»; la formula recente «Pietà di noi Signore» e l’aspersione con l’acqua benedetta.
La prima formula pone l’accento sulla responsabilità personale delle colpe commesse e lo fa con parole severe («ho molto peccato, in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa») e con un gesto, il battersi il petto, che va a colpire la sede del cuore, lo spazio interiore e nascosto dal quale, secondo Gesù stesso, «escono i propositi di male» (cfr. Mc 7, 21).
La seconda, mentre confessa il peccato («contro di te abbiamo peccato»), invoca pietà, misericordia e salvezza dal Signore.
La terza esplicita il ricordo del battesimo come il sacramento cui ritornare per riscoprire la fonte della misericordia, che ci ha liberato dal male e ci ha rinnovato con il dono dello Spirito Santo. Mediante l’aspersione con l’acqua del battesimo i fedeli sono purificati dai loro peccati e rafforzati nella lotta contro le insidie del maligno.
L’atto penitenziale si chiude con l’«assoluzione» del sacerdote («Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna»). Al dono della misericordia e del perdono Alla misericordia e al perdono si accompagna l’esito sperato della vita eterna, che è partecipazione alla gioia di Dio nella comunione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Poiché la Chiesa ci insegna che l’atto penitenziale della Messa non sostituisce il sacramento della penitenza, che resta necessario per l’assoluzione dei peccati gravi o mortali che abbiamo coscienza di avere commesso, nell’atto penitenziale l’assoluzione del sacerdote, se, da un lato, ci rimette i peccati veniali o quotidiani, dall’altro, ci impegna prima di accostarci alla comunione a ricorrere al sacramento della penitenza per la remissione dei peccati gravi o mortali.
Il primo frutto dell’atto penitenziale è dunque l’azione misericordiosa di Dio che ci rende coscienti della gravità dei nostri peccati e ci indica la strada da intraprendere per ritornare dal male al bene nella pace del Signore e nella comunione fraterna.