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Sirio 11 - 17 novembre 2024
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Intervista

L’Arcivescovo: «Viviamo ogni tempo come un momento di grazia»

In coerenza con le Lettere precedenti, la Proposta pastorale 2019-2020 è legata all'idea della Chiesa come «un popolo in cammino che coglie ogni situazione come occasione». Su tutto la necessità «che il Vangelo risuoni ancora come una parola amica e provvidenziale» e un richiamo alla Dottrina sociale: «Occorre riappropriarsene, perché ci sono interrogativi a cui un credente non può non rispondere»

di Annamaria Braccini

8 Luglio 2019

«La situazione è occasione». La proposta pastorale dell’Arcivescovo rivolta ai fedeli dell’Arcidiocesi per l’anno 2019-2020 è diversa dalle consuete Lettere pastorali: il perché di questa scelta lo spiega lo stesso Arcivescovo.

Per quale motivo la proposta pastorale di quest’anno assume la forma di sei lettere per altrettanti tempi liturgici?
Il motivo è l’intuizione, che peraltro è iscritta da sempre nella vita della Chiesa, che il vero percorso pastorale sia quello segnato dai tempi liturgici e che, quindi, è più opportuno interpretare ciò che ogni tempo ci suggerisce, rispetto al sovrapporre una tematica complessiva che copra tutto l’anno.

Di complessivo, tuttavia, vi è l’icona biblica di riferimento, la Lettera ai Filippesi di San Paolo, allegata al suo testo e da cui è tratta l’espressione del sottotitolo, «Per il progresso e la gioia della vostra fede». Per Paolo «la situazione si è rivelata occasione». Ci sono anche per noi, nel nostro mondo, situazioni che si rivelano occasioni provvidenziali?
Questo è proprio il senso del kairòs, dell’occasione e, cioè, che ogni situazione, di per sé, possa essere un’occasione. Occasione perché lo Spirito di Dio opera nella vicenda umana risvegliando il desiderio della salvezza, l’intraprendenza per costruire il bene e il rammarico per il male. È lo Spirito che trasfigura una situazione – da qualcosa di determinato, di condizionante e da subire – in occasione, ossia in un contesto nel quale la libertà può esprimersi, l’amore può essere fecondo, la cura per il Vangelo può trasformarsi in iniziativa, in proposta, in annuncio.

Come convincere i nostri contemporanei che, davvero, la gloria di Dio riempie la terra – il suo motto episcopale è anche il punto di partenza dello scritto -, nonostante le tante ingiustizie che attraversano il mondo? Si colloca in questo orizzonte la sottolineatura della Chiesa come missione, nella prima lettera per il Mese missionario straordinario di ottobre?
L’espressione «La terra è piena della gloria di Dio» non è una descrizione, come quella di chi narra il bene che esiste: è, invece, la chiamata a una responsabilità. La gloria del Signore non è una sorta di “parola magica” che sistema tutto e che, quindi, crea un mondo di fiaba in cui tutto va bene. La gloria del Signore riempie la terra perché lo Spirito di Dio abita in tutti i cuori, in tutte le persone, ed è tale amore che rende capaci di amare. È questo che voglio dire con l’espressione «la gloria di Dio riempie la terra».

Questa proposta arriva dopo le prime due Lettere pastorali del suo episcopato. C’è una linea conduttrice, un “filo rosso”, in questo cammino del suo magistero?
In realtà il collegamento è che le insistenze sono sempre quelle essenziali della Pastorale. Lo sguardo rivolto al compimento – alla Sposa dell’Agnello -, l’idea che la vita sia un percorso, che la Chiesa sia un popolo in cammino che coglie, per questo, ogni situazione come occasione, mi sembrano temi coerentemente legati dal desiderio di vivere il presente come grazia, nella prospettiva di un compimento che il Signore non fa mai mancare a coloro che si affidano alla sua promessa.

Filippi è la prima città d’Europa in cui Paolo ha annunciato il Vangelo, «non senza fatica e resistenze». La scelta di riferirsi alla Lettera ai Filippesi indica una particolare percezione, da parte sua, della necessità di evangelizzare o ri-evangelizzare l’Europa?
È necessario che il Vangelo risuoni ancora, a Filippi come in ogni parte d’Europa, come una parola amica e provvidenziale, non come un appello, una presentazione dei doveri o una denuncia di problemi. In particolare, la Lettera ai Filippesi si apre con la confidenza di Paolo che dice: «Io sono in carcere». Dunque, in una situazione precaria e densa di minacce. Però l’apostolo aggiunge subito: «Bene: anche questa situazione in pratica è diventata un’occasione per il Vangelo, perché io ho detto a tutti che il motivo per cui sono in carcere è Gesù Cristo e così tutto il Palazzo del Pretorio risuona del nome di Cristo e tutti sanno che sono qui per questo».

Lei sottolinea che il rinnovo dei Consigli pastorali e degli Affari economici va vissuto in prospettiva missionaria. Nel prossimo anno ci saranno anche le riflessioni sul rinnovamento della vita degli Oratori e la struttura del Decanato. In quale luce unitaria affrontare questi appuntamenti?
A seconda dei tempi liturgici, ho cercato di indicare qualche applicazione o di richiamare qualche bisogno di correzione in ciò che normalmente facciamo. Quello che mi sembra offra un’unitarietà è la fiducia nella possibilità di vivere anche gli adempimenti, diciamo istituzionali, a servizio dell’annuncio del Vangelo. Il rinnovo dei Consigli pastorali e la riflessione sull’oratorio – ed eventualmente su qualche evento riguardante i giovani con la ricezione dell’Esortazione apostolica Christus vivit -, deve essere inteso a servizio dell’evangelizzazione, cioè di una buona notizia che rende la terra abitabile e rivela che la gloria di Dio la riempie.

Nella lettera per la Quaresima, lei ritiene «doveroso che, nella comunità cristiana, si promuovano occasioni di confronto per approfondire i temi della Dottrina sociale della Chiesa». Se ci fosse una maggiore conoscenza di tale Dottrina, anche la partecipazione dei cristiani alle responsabilità socio-politiche potrebbe diventare più matura?
Il mio intento, in occasione della Quaresima, è quello di insinuare domande sul modo che abbiamo di vivere, di lavorare, di distribuire la ricchezza, di affrontare il tema della giustizia. Nella mia proposta pongo semplicemente delle domande, indicando appunto la Dottrina sociale della Chiesa come una possibile risposta. Si tratta, quindi, soltanto di un invito ad avviare una riflessione partendo da una rivisitazione di testi, in particolare, dell’Enciclica Laudato si’ di papa Francesco, che è l’ultimo intervento sistematico sul tema della Dottrina sociale. Sono convinto che è necessario riappropriarsi della Dottrina sociale della Chiesa, perché ci sono interrogativi a cui è difficile che un credente possa non rispondere. Per questo, invito i cristiani – secondo le loro competenze e responsabilità – a farsi avanti. Che questo possa motivare all’impegno politico o a iniziative di carattere sociale, me lo auguro e credo che molti potrebbero trarre spunto dalla lettera della Quaresima per immaginare iniziative operative e promettenti per il futuro.

Il 7 luglio di due anni fa veniva annunciata la sua nomina ad Arcivescovo di Milano. Se dovesse dire una parola di sintesi come bilancio di questi 24 mesi, cosa direbbe? 
Ne direi tre: ammirazione per questa Chiesa ambrosiana, per coloro che la servono e per il bene che si fa da parte di molti; la mia impressione di dover ancora imparare a fare l’Arcivescovo di Milano e la gratitudine per i miei collaboratori.

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