I custodi, gli amici del bene che tengono viva la città perché fanno il loro dovere, oggi come trent’anni fa, quando 100 chili di tritolo stroncarono la vita di quattro di loro: i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno e l’agente di polizia municipale Alessandro Ferrari, a cui si aggiunse Driss Moussafir, un immigrato marocchino che stava dormendo su una panchina di via Palestro. Là dove, di fronte al Padiglione d’Arte Contemporanea, alle 23.14 del 27 luglio 1993 un’autobomba imbottita di esplosivo seminò morte e distruzione. Nonostante i tre decenni trascorsi da allora, una ferita ancora aperta in una Milano che, nell’anniversario dell’attentato, ha promosso cerimonie e commemorazioni pubbliche, svoltesi alla presenza delle massime autorità civili e militari del territorio, e che ha concluso la giornata alle 23.14, proprio in via Palestro, con il suono delle sirene dei mezzi di soccorso. Un gesto simbolico, preceduto dalla celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo all’aperto, davanti al Distaccamento dei Vigili del Fuoco di via Benedetto Marcello, intitolato ai tre appartenenti al Corpo partiti proprio da quella caserma per l’allarme segnalato poco prima da Alessandro Ferrari, che aveva notato del fumo uscire da una Fiat Uno grigia.
Attorno all’altare approntato in strada – con una semplice croce fatta delle corde, di due scale e di altrettanti caschi (uno rosso e uno nero) tipici dell’attrezzatura dei pompieri, sotto cui è posta un’immagine della patrona Santa Barbara -, ci sono i parenti delle vittime, tanti colleghi, il comandante provinciale dei Vigili del Fuoco Nicola Micele, i rappresentanti di altre Forze dell’Ordine e delle istituzioni, tra cui l’assessore comunale alla Sicurezza Marco Granelli (con la fascia del primo cittadino), il prefetto Renato Saccone e per la Città metropolitana il consigliere Marco Griguolo.
In apertura, un padre francescano ricorda lo strazio di trent’anni fa, citando l’omelia delle esequie pronunciata in Duomo dal cardinale Martini. La commozione si tocca con mano nella piccola folla che partecipa alla Messa, tra le bandiere, le diverse divise, i mezzi pronti a intervenire come accade ogni giorno. In un silenzio irreale le parole dell’omelia dell’Arcivescovo risuonano come segno di una memoria grata e, insieme, come un monito.
I custodi della città
«Così vivono gli uomini: immaginano l’allegria idiota dei disonesti, quelli che tramano nell’ombra e decidono morti e stragi e sono indotti a pensare che il male vince, che l’organizzazione mafiosa è inestirpabile, che i delinquenti potenti se la cavano sempre. Così vivono gli uomini: credono di interpretare la vita a partire dai dati della cronaca e perciò hanno il volto triste, dicono parole tristi e vivono una vita triste». Ma, continua in riferimento al brano del profeta Isaia appena ascoltato, il Signore «strapperà il velo» e si potrà riconoscere «la verità che è questa: gli amici del bene vivono e tengono vivo il mondo».
Loro, quei «custodi della città che fanno il loro dovere con serietà, con professionalità, nei giorni in cui è facile e nei giorni in cui è difficile, nei giorni in cui ricevono applausi e riconoscimenti e nei giorni in cui ricevono critiche o sono circondate da indifferenza. I custodi della città, gli amici del bene che sanno che devono offrire il loro servizio, che c’è gente che se lo aspetta, e che, perciò, ogni giorno si mettono all’opera». Amici del bene che sono dappertutto, «nelle istituzioni, nelle famiglie, nella gente, nelle persone che tutti i santi giorni, da anni e anni, fanno la stessa cosa, il loro dovere. Per il fatto che ci sono loro, la città vive, il mondo continua ad andare incontro al suo futuro. È per questo che siamo qui per rendere onore a coloro che hanno sacrificato la loro vita e a rendere omaggio».
I complici del male
Eppure, non si nasconde l’Arcivescovo, resistono «anche i complici del male, che, talora, si sentono invincibili, che sono aggressivi e strafottenti e non si rendono conto di quanto fanno soffrire. Hanno messo una bomba anche qui vicino e hanno fatto una strage, hanno combinato un disastro. Ma anche loro hanno dovuto imparare che il male fa male, hanno sperimentato la desolazione di una vita buttata via, l’incubo dell’angoscia che non lascia tregua». Uomini che oggi, «forse non mettono bombe e non fanno stragi, ma fanno affari con la guerra, si presentano come gente per bene, ma distruggono famiglie e imprese, rovinano i giovani». Per loro, scandisce ancora monsignor Delpini, «rimane la condanna eterna come disse il cardinale Martini».
Il pensiero torna alle vittime di quel 27 luglio, solo apparentemente lontano, la cui scia di morte si inseriva in trame di stampo mafioso mai del tutto chiarite, con gli attentati avvenuti in contemporanea, a Milano e a Roma nei pressi della Basilica di San Giovanni in Laterano e della chiesa di San Giorgio al Velabro, senza dimenticare la strage di via dei Georgofili a Firenze, esattamente due mesi prima di quella di via Palestro.
Da qui la consegna: «La morte dei Vigili del Fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, dell’agente di polizia municipale Alessandro Ferrari e di Moussafir Driss è sembrata una vittoria dell’arroganza dei complici del male. È stata però anche un momento in cui è stato tolto il velo che copriva la faccia dei popoli e si è capito, con indiscutibile evidenza, quanto sono presenti e coraggiosi gli amici del bene… Nella nostra celebrazione riceviamo la grazia di togliere il velo che ci impedisce di vedere, di conoscere e di essere grati al popolo immenso degli amici del bene che permette di vivere e di sperare».
L’intervento del Comandante provinciale
«Trent’anni fa la nostra Polisoccorso 65 usciva proprio da questi garage per un intervento che sembrava ordinario, ma che nascondeva un rischio subdolo e nascosto. Quella sera nella squadra erano in quattro (sopravvisse solo Massimo Salsano) e garantivano il bene della città – dice nel suo ricordo il comandante Micele -. Pasotto aveva appena festeggiato il suo compleanno, Picerno era tornato quella mattina dal viaggio di nozze, La Catena non arriverà a mai percepire il suo secondo stipendio, essendo entrato in servizio da 40 giorni. In questi casi si pensa che si siano trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma io credo che stessero solo facendo il loro dovere professionale e così dobbiamo onorarli». Per questo il Comando provinciale, spiega Micele, ha realizzato una serie di iniziative: «Siamo andati nei vari distaccamenti e comandi delle province, raccontando ai giovani colleghi cosa sia stata via Palestro, affinché anche da una tragedia come questa si possa crescere e migliorare, la memoria non sia retorica o fine a se stessa, ma dia un risultato pratico e anche perché chi c’era allora sta per andare in pensione».
La recita corale della preghiera dei Vigili del Fuoco, lo scoprimento e la benedizione della targa marmorea di intitolazione della caserma – ma i tre nomi sono già incisi da tempo sulla facciata – suggellano la celebrazione conclusa dai ringraziamenti dell’Arcivescovo, anche «per la dedizione dimostrata dai pompieri dopo i disastri che si sono abbattuti su Milano in questi giorni».