Era un prete sui generis don Luigi Melesi, che nei prossimi giorni sarà ricordato in città. Due i momenti celebrativi: venerdì 29 novembre alle 20.30, l’arcivescovo Mario Delpini presiederà una Messa di suffragio all’Istituto salesiano di Milano (via Copernico 9) e il 7 dicembre il Comune gli conferirà l’Ambrogino d’oro alla memoria in occasione della festa patronale. Don Luigi, morto nel 2018 a Lecco all’età di 85 anni, è un salesiano doc, con la passione educativa nel cuore e lo sguardo compassionevole verso gli ultimi. Aveva iniziato da giovane prete a occuparsi dei ragazzi del riformatorio “Ferrante Aporti” di Torino, poi dei minori ospitati nella casa di rieducazione di Arese, in provincia di Milano, per finire a trascorrere più di 30 anni come cappellano a San Vittore.
Andava orgoglioso del soprannome che lui stesso si era dato, “prete da galera”, sempre mescolato tra i detenuti che avevano commesso i reati più efferati, i brigatisti degli anni Settanta fino ai più insospettabili che commettevano illeciti amministrativi, usura e corruzione. Qualcuno diceva che parlava più con i magistrati (per chiedere clemenza per i colpevoli) che con i carcerati stessi. In realtà non si fermava mai, trovava il tempo per tutti e aveva una parola per tutti. Ma da bravo educatore sapeva anche rimproverare gli inquilini di piazza Filangieri, come pure incoraggiarli e asciugare lacrime di pentimento o di dolore. Quante vicende drammatiche ha ascoltato in tre decenni, storie di droga e di abbandono, di delinquenza e di soprusi, di disagio e di violenza. I colloqui con don Melesi erano boccate d’ossigeno per i detenuti, come pure le Messe in “rotonda”, dove alzava la voce durante le prediche, ma il suo tono era accorato e convincente. La sua specialità erano le parabole del Vangelo che diventavano vere lezioni di vita anche per i cuori più induriti. Era davvero capace nell’arte della retorica, forse perché si era anche dedicato alla recitazione. Non a caso nel 2013 don Melesi, ormai anziano e malato, ha affrontato il viaggio per andare a Roma a ricevere la laurea honoris causa in Scienze della comunicazione sociale conferitagli per la sua opera educativa e di recupero attraverso il teatro.
Don Luigi trattava tutti i carcerati come un buon padre di famiglia cerca di educare i figli, con parole di persuasione e gesti di misericordia. Ne ha salvati tanti, impedendo che continuassero a delinquere, facendo leva sulla loro dignità di uomini, sul senso di responsabilità verso moglie e figli, sul giustizia nei confronti della società e delle vittime, sui desideri e sui sogni reconditi… E poi quante lettere e biglietti con richieste di aiuto, preghiere, confidenze di ogni tipo riceveva, sia da parte dei carcerati sia dei loro familiari, non meno provati dalla detenzione del loro padre, marito, figlio.
Spesso il cappellano manteneva i rapporti con i detenuti anche dopo mesi o anni dalla loro scarcerazione, prendeva un caffè al bar o faceva due passi colloquiando per strada, sciorinando consigli e pareri a chi glie li chiedeva. Era un punto di riferimento costante per chi dietro le sbarre aveva trovato un prete capace di ascoltare e di orientare vite sbagliate.
Durante gli anni trascorsi a San Vittore, don Melesi ha potuto contare sul sostegno dall’arcivescovo Carlo Maria Martini, che ha sempre avuto nel cuore il carcere e i detenuti: ogni anno li incontrava per la Messa di Natale o in altre occasioni significative.
A ricordare e pregare per don Melesi nei prossimi giorni, non sono solo coloro che lo hanno conosciuto in galera, ma anche tanti milanesi che riconoscono ancora oggi il valore di un prete-educatore che si è sempre schierato dalla parte più deboli, ma che avevano pagato il loro debito verso la società.