Una Messa Crismale che solo fino a qualche mese fa, non si sarebbe potuta immaginare. Non celebrata la mattina del Giovedì santo, non in un Duomo tradizionalmente affollatissimo di presbiteri e religiosi. Eppure, anche con le sole 200 presenze previste dai protocolli di sicurezza sanitaria, una celebrazione sentita, vissuta con il senso di essere una Chiesa in comunione – anche perché tutti gli altri sacerdoti seguono la Messa attraverso i media diocesani -, riunita attorno al proprio Arcivescovo che la presiede.
Sull’altare maggiore concelebrano i Vescovi ausiliari di Milano, unitamente all’arciprete della cattedrale, monsignor Gianantonio Borgonovo, e al Superiore generale del Pontificio Istituto delle Missioni Estere, padre Ferruccio Brambillasca. I membri del Consiglio episcopale milanese, del Consiglio presbiterale, i Canonici del Capitolo metropolitano della Cattedrale e i Decani assistono al rito dalle panche. Non mancano i diaconi transeunti, una rappresentanza del Seminario e dei diaconi permanenti, alcune religiose e consacrate, come le Ausiliarie diocesane, particolarmente legate alla celebrazione. In apertura, si legge il messaggio inviato dal cardinale Scola e si fa breve memoria del cardinale Corti recentemente scomparso, del quale l’Arcivescovo dona personalmente immaginetta commemorativa ai confratelli, prima dell’inizio della Messa.
L’omelia dell’Arcivescovo
«Che nome daremo a questi giorni, così drammatici, così strani? L’alluvione di analisi e di discorsi, di chiacchiere e di polemiche mi rende confuso e capisco che sotto il diluvio delle parole e delle immagini si possano raccogliere argomenti per dire qualsiasi cosa», dice in apertura della sua riflessione l’Arcivescovo. Ma noi, come cristiani, cosa possiamo invece dire? Che siamo stati ammalati – chi di Coronavirus, chi magari di tristezza o di parole amare, di solitudine e paralisi spirituale – e che solo il Signore ci può guarire: «In che modo riconosciamo il compimento delle promesse dei profeti in questo tempo tribolato e drammatico? Quale luce offre il Vangelo su questa nostra situazione? Con quale energia la verità di Gesù e la sua presenza scuotono la nostra inerzia, scalfiscono la nostra coriacea resistenza all’appello alla conversione? Siamo radunati nella nostra Cattedrale fisicamente o virtualmente perché noi sappiamo la risposta. Ci salverà il Signore».
Il pensiero va ai sacerdoti, ai catecumeni, ai cresimandi, ai bimbi, ai sofferenti, in riferimento alla benedizione degli olii: l’Olio degli Infermi (dei catecumeni appunto) e il Crisma, utilizzato per il Battesimo, la Cresima, l’Ordinazione presbiterale ed episcopale: «Benediciamo gli Olii che sono il segno dei sacramenti che celebreremo quest’anno. il Signore ci guarirà ungendo le nostre ferite. La guarigione sarà quindi come una riabilitazione dopo un trauma. Chiederà pazienza, esercizi, assistenza. Siamo qui, siamo pronti: non acconsentiamo a imprudenze e neppure ci lasciamo trattenere da infondate paure e ossessioni».
Una «riabilitazione» che già, tuttavia, spinge ogni giorno in avanti, facendo intravvedere progressi e mète da raggiungere: «Con il sacro Crisma sono consacrati i Ministri ordinati, i Vescovi che ordineremo il prossimo 28 giugno e i presbiteri che ordineremo il prossimo 5 settembre. La via della salvezza che il Signore ci chiama a percorrere è la via del servizio, saremo salvati perché abilitati a servire come Gesù ha servito, porteremo la salvezza di Gesù. Benediciamo gli Olii che sono destinati al sacramento dell’unzione degli infermi. Deve essere un segno della prossimità della Chiesa che si fa strumento di salvezza e di benedizione per i malati. Negli ospedali, nelle case, i malati aspettano. Andiamo con sollecitudine là dove è possibile, per annunciare la salvezza del Signore».
Poi, come sempre nella Messa crismale, i gesti intensi della rinnovazione delle promesse sacerdotali, appunto, la benedizione degli Olii.
Le conclusioni
Alla conclusione prende la parola il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, per comunicare la pubblicazione (si vedano gli allegati) di ulteriori date di celebrazioni diocesane, come il Corpus Domini in Duomo (11 giugno) e la Messa di suffragio dei presbiteri, religiosi e religiose defunti, sempre in Cattedrale (18 giugno). Viene resa pubblica anche una Nota per la celebrazione dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana, nella quale si auspica che prime Comunioni e Cresime possano essere celebrate tra settembre e novembre.
Infine è l’Arcivescovo a dire: «In questi mesi abbiamo subito un trauma: la tragedia talora fa emergere la verità delle persone e talora porta alla luce le fragilità. Io non sarei precipitoso nel valutare la nostra Chiesa a partire dal nostro comportamento in questo periodo, né a partire dalle parole che circolano sui social. Quando si è travolti dalla spaventosa arroganza del male alcune reazioni possono essere eccessive, istintive, aggressive. Dobbiamo aiutarci a vicenda con la correzione fraterna e il dialogo pacato e costruttivo. Il tempo che stiamo vivendo può essere occasione per imparare dai nostri errori, per rimediare ai nostri limiti e per presentare il volto di una Chiesa nella ricchezza dei suoi doni. Quello che è successo è sconcertante e imprevisto: nessuno può avere ricette già collaudate per rispondere a tutte le domande. Dobbiamo cercarle insieme. Insieme vuol dire: tutti i figli di Dio nella diversità dei doni e delle responsabilità. Forse abbiamo dato un volto di Chiesa troppo clericale: si presenta ora l’occasione per una più evidente ed effettiva presenza e corresponsabilità di tutte le componenti del popolo cristiano».
Evidente anche la preoccupazione per l’estate che si avvicina e l’oratorio feriale: «A me sembra che due punti siano acquisiti. Il primo è che quest’anno non possiamo organizzare l’oratorio estivo. Non ci sono le condizioni per fare quello che abbiamo sempre fatto. Il secondo è che non possiamo trascurare i ragazzi e gli adolescenti e far mancare a loro una proposta educativa di vita condivisa, di fede praticata, di giorni sereni». Che fare, allora? Chiarissima la risposta: «Credo che dobbiamo raccogliere la sfida di inventare qualche cosa di inedito, perché inediti sono la situazione e i vincoli che, presumibilmente, saranno posti dalle competenti autorità. Qualche cosa di inedito: creato non dal singolo prete, ma dalla comunità cristiana, leggendo il territorio, le risorse disponibili e le condizioni da curare perché non ci siano trasgressioni delle normative. Qualche cosa di inedito: che sia costruito in alleanza con altre istituzioni e risorse disponibili sul territorio. Qualche cosa di inedito: che non si esponga temerariamente a responsabilità, ma che non si lasci bloccare da infondati timori. Ne siamo capaci».