Quattro parole per esprimere un sentimento cristiano in uno scenario tragico, eppure commovente. Questa la “consegna” dell’Arcivescovo al gruppo di pellegrini ambrosiani in Friuli, contenuta nella riflessione svolta presso il Sacrario di Redipuglia, dedicato ai caduti della prima guerra mondiale, tappa del terzo giorno della trasferta.
La prima parola è «strazio». Lo strazio del cuore di Maria «che accoglie tra le braccia il corpo del Cristo crocifisso», e lo strazio delle migliaia di morti «da una parte e dall’altra». Perché dietro ognuno di loro «c’era una mamma, un papà, una famiglia forse…». «Vedere i segni della morte ci fa male – sottolinea monsignor Delpini -. In Italia come in Austria tanti volontari sono partiti ispirati da un ideale patrio, però in noi rimane questo strazio».
La seconda parola è «enigma»: «Come è possibile che delle persone vogliano uccidere altre persone?». Un enigma replicato ai giorni nostri, «forse persino più drammatico perché colpisce donne, bambini, persone anziane». Che nel cuore ci sia qualcosa che spinge a combattere, per l’Arcivescovo «è un fatto incomprensibile».
La terza parola è «suffragio». «La guerra, quando è in corso e tantomeno quando è finita, non permette di valutare obiettivamente torti e ragioni». Però i cristiani non sono chiamati a giudicare. «Non siamo qui per fare una valutazione politica, storica, sociale di questa guerra e di tutte le guerre – precisa l’Arcivescovo -, ma per dire che questi nostri fratelli morti in guerra sono vivi presso Dio. Talvolta sono ignoti come è scritto sulle lapidi, o dispersi e non si sa neanche dove siano… Però siamo persuasi che tutti, uno per uno, sono presso Dio. Suffragio vuol dire che con la preghiera entriamo in comunione con questa folla sterminata di persone e che vorremmo pregare per tutti, per chi ha ucciso e per chi è rimasto ucciso».
L’ultima parola – «necessaria, ma che si riesce a pronunciare soltanto quasi come un sospiro» – è «pace». Una parola che «non si può neanche più dire», perché dicendola «sembra di essere da una parte contro l’altra». Nondimeno, scandisce l’Arcivescovo, «noi vorremmo essere il popolo della pace», cioè il popolo di «quelli che talvolta non hanno parole, talvolta rimangono confusi, ma dicono pace… Non abbiamo parole, ma almeno abbiamo preghiera».
E poi la preghiera, un’Ave Maria, «sentendo che Maria, accogliendo Gesù morto e deposto dalla croce, forse ha avuto proprio nel cuore queste parole: lo strazio, l’enigma (come si può far del male a Gesù?), il suffragio (cioè l’affidamento a Dio) e la pace, riconoscendo nel sacrificio di Gesù il sacrificio della nuova alleanza che abbatte l’inimicizia tra i popoli».