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13 luglio

L’Arcivescovo nel cantiere dove “si cura” il Duomo

Visita alla struttura della Veneranda Fabbrica, dove i marmisti restaurano o sostituiscono i manufatti della Cattedrale. Il direttore Francesco Canali: «Abbiamo macchine sofisticate, ma il fiore all’occhiello è la manualità, che nessuna tecnologia riuscirà mai a replicare»

di Annamaria BRACCINI

11 Luglio 2021

Un cantiere che è molto di più di un semplice luogo di lavoro, perché è un punto di incontro tra passato, presente e futuro, tra genialità umana, tecnologia e atto creativo. È il cantiere marmisti del Duomo che, alla periferia nord-ovest della città (in via Brunetti 5), potrebbe essere definito l’ospedale dove, da 70 anni, si “cura” la Cattedrale, restaurando o sostituendo manufatti, quel grande mondo fantastico fatto di statue e di ornati marmorei. Qui si recherà in visita l’Arcivescovo nel pomeriggio di martedì 13 luglio. L’ingegner Francesco Canali, direttore dei cantieri della Fabbrica del Duomo, racconta con passione quale sia il prezioso apporto umano e tecnologico che qualifica, appunto, il cantiere marmisti.

Quante persone lavorano in cantiere?
Gli addetti sono una ventina. Coloro che quotidianamente lavorano sulle macchine o sui banchi sono una quindicina, quindi altrettanti circa sono i pezzi in lavorazione. È chiaro che i due operatori impegnati alle macchine riescono a produrre pezzi con molta maggior velocità di quanto non facciano gli ornatisti che, invece, devono rifinire a mano gli oggetti.

Come si svolge il processo di lavorazione?
Vi è una parte iniziale di sgrossatura che oggi, grazie alle tecnologie avanzate, consente di rendere meno faticoso l’impegno degli scalpellini che concentrano, quindi, le loro energie, nel rispetto delle norme d’igiene e di sicurezza, solo sulla parte più nobile e più fine. Un tempo tutto doveva essere fatto a mano con l’antica arte e la maestria che, comunque, continuiamo a coltivare in una prospettiva di equilibrio tra costi e benefici e curando l’innovazione con attenzione soprattutto al benessere degli operai, senza perdere di vista la qualità del risultato finale.

Siete dotati di tecnologie di livello internazionale?
Abbiamo tre frese – in funzione ogni giorno e, talvolta, anche di notte – che sono macchine sofisticate. Tuttavia il fiore all’occhiello è la manualità che, alla fine, lascia il segno perché nessuna macchina riuscirà mai a riprodurre la ricchezza degli ornati, delle pieghe, delle volute marmoree.

Qual è il sogno del direttore dei cantieri del Duomo?
Il sogno è di continuare a fare il direttore dei cantieri perché è uno dei mestieri più belli che ci siano. Ovviamente lo sforzo è quello di migliorare il più possibile, in linea con il progresso tecnologico e normativo, in modo tale che la quantità di energie che la Fabbrica profonde sia sempre meglio impiegata. L’essenza del nostro lavoro è il prenderci cura della Cattedrale confrontandosi con lo scorrere del tempo.

Parole cui fa eco Gino Giacomelli, capocantiere marmisti, dove lavora da 24 anni.

Cosa è cambiato in questi anni?
Naturalmente il progresso della tecnologia ha trasformato parte del lavoro, nel quale, però, la mano umana resta insostituibile. La soddisfazione più grande è contribuire, con devozione e umiltà, a mantenere vivo qualcosa di unico al mondo.

C’è un restauro che ricorda in modo particolare?
Oltre i rapporti umani che sono fondamentali, non posso dimenticare i lavori di ampio respiro, come il restauro della facciata, durato cinque anni e che ha interessato migliaia di mq di intervento, e quello della guglia maggiore.

 

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