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Sirio 01 - 10 novembre 2024
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Missione

L’Arcivescovo in Turchia, dove la Chiesa è «una porta aperta»

Dal 12 al 16 agosto monsignor Delpini sarà nel Paese in cui i cristiani sono una esigua minoranza. Incontrerà Mariagrazia Zambon, l’unica «fidei donum» ambrosiana per ora presente, e celebrerà la solennità dell’Assunta a Efeso, nei pressi di quella che si ritiene essere stata una casa di Maria

di Annamaria BRACCINI

10 Agosto 2023
I partecipanti a un corso di di iconografia in Cappadocia insieme al Vicario apostolico dell'Anatolia monsignor Paolo Bizzeti

Dopo il viaggio pastorale a Cuba nelle settimane scorse (vedi qui lo speciale), l’Arcivescovo, appena tornato dal Portogallo dove si è recato per la Giornata mondiale della Gioventù (vedi qui lo speciale), dal 12 al 16 agosto si reca in Turchia per una visita «motivata – spiega – come quella nell’isola caraibica dall’incontro con i fidei donum. O, meglio, con l’unica missionaria della diocesi di Milano presente in Turchia, Mariagrazia Zambon, dell’Ordo Virginum, che dopo essere stata a Ankara opera a Konya, nella diocesi di Smirne. Lì, in quella piccola comunità, verrà celebrata una Messa».

Dalla città dell’Anatolia, l’Arcivescovo raggiungerà la sede episcopale di Smirne, per poi presiedere, il 15 agosto, la celebrazione eucaristica della Solennità dell’Assunta a Efeso, in italiano e in parte in turco. «Mi commuove celebrare proprio a Efeso la festa dell’Assunzione di Maria al cielo – sottolinea -, presso la Casa di Maria (Meryem Ana Evi), all’esterno della piccola struttura che tradizionalmente è ritenuta essere stata la casa di Maria dopo la risurrezione di Gesù, in un luogo meta della devozione di tanta gente proveniente da tutto il mondo. Una festa che, oltretutto, è molto importante anche per la nostra Chiesa ambrosiana e per il Duomo di Milano».

«I cristiani in Turchia sono in numero molto piccolo e, oltretutto, pochi sono turchi, mentre la maggioranza viene da altri Paesi per motivi di lavoro o di studio. Mi piace pensare all’immagine della porta aperta, come segno della Chiesa che accoglie tutti in un luogo nel quale le attività pastorali sono molto ridotte e, talvolta, impossibili», conclude monsignor Delpini.