Un segno di speranza, una scintilla di fede nata da una Chiesa viva e da comunità vivaci.
Potrebbe essere questa la “foto di gruppo” degli 83 catecumeni ambrosiani 2024, di cui 27 maschi e 56 femmine. Tutti riuniti – insieme a padrini, madrine, accompagnatori e sacerdoti – presso il Centro pastorale di via Sant’Antonio per incontrare, come tradizione, l’Arcivescovo, poche ore prima di ricevere, con tutti i giovani della Diocesi, il Credo simbolo della fede, in Duomo, nella Veglia in Traditione Symboli.
«Siamo contenti di incontrarla», dice, in apertura, don Matteo Dal Santo, responsabile del Servizio per la Catechesi e della Sezione del Catecumenato, che, appunto, parla di «scintille».
«Scintille scaturite da incontri con persone luminose, dalla ricerca personale, dal confronto con vicende dolorose», come è stato per molti di questi adulti che hanno scelto di diventare cristiani, magari, partendo anche dalla famiglia, dall’esempio di mariti, mogli e di coloro con cui vogliono condividere la vita.
«Un segno di speranza “giovane” – 27 catecumeni sono al di sotto dei 25 anni e 13 hanno da 26 a 31 anni, per un totale di 40 su 83 – che testimonia come il Signore lavori sempre e tanto, aprendo il cuore di uomini e donne. Segno di speranza anche perché ci sono accompagnatori, accompagnatrici, sacerdoti e laici che indicano come la Chiesa sia ancora un grembo che genera fede», conclude Dal Santo.
Le testimonianze
A prendere la parola sono, poi, due candidati. Il primo è Landri, originario del Camerun che abita a Gorgonzola e che parla della lettera scritta all’Arcivescovo, così come hanno fatto tutti i suoi “colleghi” sulla via dei sacramenti. «Nella lettera ho scritto che ho sempre avuto modo di appoggiarmi alla fede cristiana, anche perché ho frequentato l’oratorio e la chiesa. Però mi chiedevo cosa fosse quella cosa che i fedeli, a Messa, andavano a prendere all’altare. Chiesi da piccolo a mia madre perché non ero battezzato e mi disse dovevo scegliere io da grande. Ci sono rimasto male, ma poi ho capito: ciò che è imposto non dura e, invece, quello che ho scelto durerà. Ho imparato che ogni relazione va vissuta e, quindi, anche quella con Gesù. Il cristianesimo non è semplicemente andare a Messa, ma è uno stile di vita. Ho capito che i legami che si creano attraverso un percorso come quello dei catecumeni sono potenti. Ringrazio i miei genitori perché mi hanno permesso di scegliere e di capire».
Parole cui fa eco, Ramesh, 47 anni, di famiglia buddhista, originario dello Sri Lanka, che, studiando in Cina, ha conosciuto Chiara, italiana di Gerenzano, dove da 18 anni vive avendo formato con lei una famiglia oggi con due figli di 18 e 15 anni. Nel 2022, un periodo buio e l’unico conforto, come racconta, «la preghiera a Dio e alla Madonna, l’unica vera roccia cui aggrapparmi». Nella notte di Pasqua, nella parrocchia del suo paese, con il suocero come padrino, finalmente arriverà il battesimo. «Ho imparato ad essere in pace con me stesso e con gli altri, ad accogliere anche chi è diverso da me e a fidarmi», conclude emozionatissimo.
È la volta di Manuela Mariani, educatrice nella parrocchia del Santissimo Redentore (facente parte della Comunità pastorale Madonna di Loreto), e accompagnatrice di Gabriel, giovane 22enne di origine brasiliana. «Mi preme – spiega – trasmettere la bellezza delle scritture e di una comunità dove ognuno trova il suo posto. Credo che sia anche importante che i catecumeni facciamo esperienze di servizio e, infatti, lo sperimenteremo nel momento della mistagogia. Sento la responsabilità di questa consegna della Chiesa, sento la presenza del Signore che chiama ogni volta a conversione, per guadagnare il mio cuore a Cristo. Accompagnare in questo cammino – per lei è la seconda esperienza – , arricchisce anzitutto me».
La grazia di una comunità
Da un grazie convinto si avvia l’intervento del vescovo Mario. «Ciò che sto respirando in questo momento, è il cammino dell’intera Chiesa ambrosiana che ringiovanisce, il desiderio di diventare cristiani portando a compimento un percorso, per alcuni, anche molto lungo. Il fatto che abbiate scelto di chiedere il battesimo, che persone vi accompagnino, che le comunità siano sensibili per questa grazia, è molto bello».
Tre le attenzioni che l’Arcivescovo invita a considerare e mettere in pratica. In primis, la grazia di una comunità. «Le testimonianze sottolineano che la grazia del battesimo, scelto dai catecumeni, è frutto di incontri che il Signore ha messo sulla loro strada come occasioni. Questa è, da sempre, la via che Gesù percorre per chiamarci: una comunità che aiuta e offre un contesto in cui abitare»
Tuttavia, avverte subito monsignor Delpini, «non bisogna idealizzare, perché talvolta le nostre comunità sono una fatica, non accolgono, deludono. Ciò che vorrei incoraggiare è uno sguardo realistico che sa vedere la santità che c’è, senza nascondere le difficoltà. La Chiesa è santa, ma i cristiani sono uomini e donne con i loro limiti. Non lasciatevi mai stancare dai limiti che ci sono nella Chiesa, aiutatela a essere migliore. La comunità è necessaria anche se non è perfetta e giovane».
Il richiamo è al capitolo 3 del Vangelo di Marco, dove Gesù costituisce i dodici discepoli come persone che stavano con lui per scacciare i demoni. «Un gruppo di persone che ora sono santi, ma allora non lo erano. Bisogna amare la Chiesa così come è. Talvolta, le difficoltà più serie e il giudizio più sprezzante lo troviamo in casa e questo ci scoraggia. Voglio esortarvi a fare memoria di tutti coloro che sono venuti nella vostra vita ad accompagnarvi. L’amicizia, la Chiesa, la fraternità, sono vie per giungere all’essenziale che è Gesù.
Quando arrivate al battesimo, siete chiamati a essere anche voi missionari e testimoni. Una comunità ti ha accolto e devi contribuire a costruirne una accogliente, essendo lieti che la Chiesa continui la sua missione. Scrivete un albo d’oro con i nomi di quelle persone che vi hanno aiutato a trovare la via del Signore, una sorta di memoriale della riconoscenza, perché la Chiesa non sia qualcosa di anonimo», scandisce l’Arcivescovo, rivolgendosi direttamente ai catecumeni.
Tornare all’essenziale: Gesù
Poi, la grazia di Gesù.«Noi viviamo di una vita ricevuta, che non è una situazione, ma un’amicizia e una comunione. La fede non è una tradizione, una pratica di comandamenti da osservare: è seguire Gesù, pregare, amare, pensare come lui. Solo la sua ricerca, le domande su di lui, che è un mistero sempre più grande di ciò che abbiamo capito, ci avvicinano. Portate in tasca, come chiede il Papa, un Vangelo e apritelo qualche volta. Mi pare che tanti cristiani oggi ignorino il Vangelo, parlino di Dio senza avere ascoltato Gesù. Considerate la Chiesa come grazia e Gesù come essenziale».
Da qui la terza consegna: la responsabilità. «Le grazie ricevute non sono solo per se stessi e, quindi, chiedono la responsabilità, che ha che fare, nell’etimologia italiana, con la risposta. Il Signore chiama e occorre rispondere, non con una dichiarazione verbale, ma con un impegno. Create un’antologia preziosa, scrivendo una frase che vi ha colpito dal Vangelo o parole che hanno illuminato il cammino».
Infine, la grande domanda sempre in agguato quando si fanno scelte decisive che cambiano la vita: E dopo?. Chiarissima la risposta del vescovo Mario. «Siate fedeli all’essenziale. Agli accompagnatori chiedo che, da qui a Pentecoste, vi sia un incontro o due per parlare e immaginare il futuro e ragionare su questo».