«Coltivo motivi di gratitudine per tutto quello che fanno gli Orionini anche qui a Milano e segni di ammirazione». Sono questi i primi sentimenti a cui dà voce l’Arcivescovo, che presso la Sala Pio XI dell’Università Cattolica apre con il suo saluto l’incontro di presentazione del volume Don Orione, la Sede Apostolica e i vescovi d’Italia (Rubbettino, 708 pagine, 28 euro) di don Aurelio Fusi, direttore provinciale dell’Opera Don Orione fino a giugno e ora direttore del Centro di Bergamo. Accanto a lui il Superiore provinciale della Congregazione don Giovanni Carollo. don Flavio Peloso, postulatore e storico degli Orionini, e Angelo D’Acunto, professore della Pontificia Università Santa Croce.
Lo studio ponderoso ricostruisce, a partire dagli scritti e dalle testimoniane sul fondatore e sulla Piccola Opera della Divina Provvidenza, un brillante e approfondito spaccato storico della vita della Chiesa della prima metà del Novecento, vista nella prospettiva dell’instancabile azione di san Luigi Orione. «Infatti vi sono descritte le relazioni di don Orione con 6 Papi, da Pio IX a Pio XII, e 301 Vescovi – spiega l’autore del saggio -, tutti incontrati sul campo della carità e dell’azione pubblica per sanare ferite sociali e personali e per dare vita a una Chiesa vicina alla gente, “fuori di sacrestia”, come diceva proprio il Santo tortonese».
L’intervento dell’Arcivescovo
Due gli aspetti che ricorda monsignor Delpini e «che ci coinvolgono particolarmente. Il primo è che siamo nell’Università Cattolica, dove don Orione ha tenuto alcuni interventi: due in specifico nel 1936-’37, che hanno avuto un’incidenza determinante per l’Opera del Piccolo Cottolengo. Anche per questi discorsi così incisivi, con l’aiuto di padre Gemelli e della borghesia di allora, don Orione ha potuto dare avvio al miracolo della sua iniziativa. Trovarsi qui oggi mi fa molto riflettere perché significa che questo luogo è stato proficuo non solo dal punto di vista accademico e degli studi, ma anche per come ha saputo intercettare il mondo della sofferenza e del bisogno».
Inoltre, l’Opera del Piccolo Cottolengo – ha continuato l’Arcivescovo -, «nata non senza contrasto e riserve e per cui parve quasi necessario cambiare il nome, qui emerge come necessaria anche se qualcuno fece notare, ai tempi, che Milano poteva già contare su opere importanti e che, quindi, quella di Orione poteva assorbire risorse che potevano essere, invece, destinate ad altro. Tuttavia proprio le lettere intercorse tra Orione e il cardinale Schuster testimoniano di come fosse invece necessario avviare l’Opera».
Il valore del saggio
Poi, l’articolata comunicazione di don Flavio Peloso, che invita a comprendere il valore del volume «anche per la storia civile ed ecclesiale del XX secolo». Se di don Orione si disse che «santi così ne nascono uno o due in un secolo con un’affermazione confermata da papa Benedetto XVI al numero 40 dell’Enciclica Deus Caritas est, quando, elencando santi esemplari per carità sociale, cita don Orione, per la prima metà del Novecento, e Teresa di Calcutta per la seconda metà», poco si sa della dimensione pubblica della figura del fondatore.
Una lacuna che il saggio viene a colmare, indicando, ad esempio, il suo ruolo attivo nella Questione romana. «La dimensione della sua vita avventurosa meno conosciuta è, paradossalmente, proprio quella pubblica, con la rete di relazioni che hanno legato il Santo ai problemi e ai progetti della società del suo tempo. Don Orione, per la sua santità, prudenza e carità intraprendente, divenne, nella prima metà del Novecento, un punto di riferimento per molti protagonisti ecclesiastici e anche civili d’Italia – ha osservato ancora don Peloso -. Vescovi, Prelati della Curia romana e gli stessi Pontefici entrarono in relazione con lui nella comune ricerca del bene di persone e di categorie sociali svantaggiate e scartate, come direbbe papa Francesco. Oggi questo tessuto di azioni e relazioni è reso meglio conoscibile e risulta di molto interesse storico e culturale».