Il canto dei 12 Kyrie peculiari della liturgia ambrosiana, più di 60 sacerdoti concelebranti, tra cui quattro vescovi, i membri del Cem e i Canonici del Capitolo metropolitano, i ministri straordinari dell’Eucaristia, i gruppi liturgici parrocchiali (specificamente invitati), le massime istituzioni territoriali – Comune di Milano, Regione e Città Metropolitana, rispettivamente rappresentate, con gli storici gonfaloni, dagli assessori Marco Granelli, Stefano Bolognini e Beatrice Uguccioni -, la chiesa gremita. E, ancora, le associazioni, i volontari, i membri delle Confraternite e degli Ordini cavallereschi, gli stendardi – tra cui quello dell’Università Cattolica con il prorettore vicario, Antonella Sciarrone Alibrandi -, le autorità militari, le tante religiose, i ministranti e i chierichetti in gran numero.
Tutto parla di una celebrazione corale per la solennità del Corpus Domini che mai come quest’anno, dopo due anni di pausa per la pandemia, torna a Milano, in una delle zone più problematiche della città – il Decanato San Siro, Sempione Vercellina -, con la Messa e la processione presiedute dall’Arcivescovo. Un itinerario di fede dal titolo «Torniamo al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale» (tema anche del Congresso eucaristico nazionale in programma a Matera dal 22 al 25 settembre), che si avvia dalla chiesa della Beata Vergine Addolorata in San Siro, «attraversando i luoghi dove la gente vive, lavora, gioisce, soffre e muore». Camminando «pellegrini sulle strade della nostra città, simbolo delle strade del mondo», per portare «le sofferenze degli ammalati, la solitudine degli anziani, la fatica di chi è stanco e affaticato per la pandemia, per le guerre e ogni forma di violenza».
La Messa e la processione
Il saluto di benvenuto è porto dal parroco don Giovanni Castiglioni che, rivolgendosi all’Arcivescovo in riferimento alla recente Visita pastorale al Decanato, dice all’intera assemblea: «Sentitevi tutti a casa, perché questa parrocchia è la casa del Signore».
Al termine della Messa inizia la processione che, tra canti, riflessioni, preghiera e intercessioni, ascolto della Parola di Dio e di alcuni brani dell’enciclica di papa Francesco Laudato si’, si articola in quattro momenti, a sottolineare il significato del pane «frutto della terra e del nostro lavoro», «cibo della condivisione»; «questo pane è il mio corpo che è per voi», «il pane vivo disceso dal cielo».
I fedeli, seguendo il Santissimo Sacramento portato tra le mani dall’Arcivescovo nel prezioso ostensorio ambrosiano, sostano e pregano tra i balconi dei grandi condomini, illuminati da piccole fiammelle nella sera che scende, passando accanto a luoghi di cura, scuole, alle imponenti geometrie dello stadio di San Siro, a quelle raccolte e sobrie del Santuario dedicato a don Gnocchi e arrivando, infine, sul sagrato della chiesa di San Giuseppe Calasanzio.
L’omelia
Al pane eucaristico e a quello quotidiano che saziano, mentre «la sazietà dei capricci fa perdere il gusto dell’essenziale», si ispira la riflessione dell’Arcivescovo (qui il testo integrale): «I discepoli, noi tutti, camminano ogni giorno in città e testimoniano il gusto per la vita, la gioia di essere vivi. Attraversiamo anche la città difficile e non siamo ingenui. Vediamo le complicazioni e il degrado. Avvertiamo il pericolo, il malumore, la rabbia e la cattiveria, ma non troviamo mai una ragione per provare disgusto della vita, della città e dei suoi abitanti».
L’invito è a gustare la vita e i suoi tanti momenti e stagioni: «Essere giovani e gustare la giovinezza. Essere adulti e gustare la responsabilità. Essere genitori e gustare di donare vita e futuro. Essere anziani e vecchi e gustare di essere nonni. Essere uomini e donne e gustare di essere persone che si piacciono, che esprimono il gusto di vivere, di essere famiglia e accogliere e custodire la vita. Essere amici e gustare l’amicizia feconda di bene. Dare un aiuto a chi ha bisogno e gustare la gioia e il pane condiviso. Rispettare le regole del convivere e gustare la vita ordinata e il buon vicinato».
Anche quando, non si nasconde l’Arcivescovo, vivere non è semplice: «Nella città difficile, nella vita complicata, nei tempi del grigiore e della paura, i discepoli fanno memoria di Gesù, come lui spezzano il pane e sperimentano che il pane è buono, il pane è abbondante. Eppure il pane non basta. Siamo forse destinati a non essere mai felici? Forse un dio invidioso ha destinato uomini e donne a essere sempre insoddisfatti, sempre dipendenti, sempre segnati dal bisogno? Perché il pane non basta? Perché il gusto della vita può degenerare in disgusto e desiderio di morte e rassegnazione a morire?», si chiede monsignor Delpini.
Eppure Gesù, che si cura della folla affamata nel deserto, rivela l’intenzione di Dio che ha «la bellezza e la delicatezza del dono per cui tutto diventa segno, un aprirsi delle cose verso il mistero. Nella cura per ogni dono ricevuto, i suoi figli siano fieri e lieti di essere vivi, di essere capaci di coltivare la terra e di trarne il pane e il vino, a immagine del Creatore, capaci, cioè, di creare». E anche quando «Dio vide che le cose buone invece che dono erano diventate proprietà privata conquistata con la violenza, e i doni diventavano oggetto di contesa, di rapina, di violenza, ha continuato a donarsi».
Per questo – conclude l’Arcivescovo – il XXVII Congresso eucaristico nazionale di Matera vuole essere «anche un rimprovero e un invito a conversione per tutto quanto abbiamo sbagliato e per come il dono di Dio è stato frainteso e ignorato. Ma soprattutto vuole essere un invito a fare festa e ringraziare. Il pane è buono, e Gesù nel pane consacrato non offre solo il gusto che piace e sazia il corpo, ma il dono che porta a compimento. Questa vocazione alla felicità che inquieta le persone e la città, il dono di sé che rende possibile partecipare alla sua vita, la vita del Figlio che spezza il pane e rende grazie e nel pane e nel vino si offre per la comunione con la vita di Dio, la vita eterna».
Ormai è buio quando si compie il quinto momento del rito, con la preghiera universale in cui torna un pensiero alla guerra, l’Adorazione dell’Eucaristia, il tradizionale canto del Tantum ergo e la benedizione solenne.