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Sirio 01 - 10 novembre 2024
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Seveso

L’Arcivescovo ai nuovi parroci: «L’unità della missione è il servizio al popolo di Dio»

Nella celebrazione presieduta nel Santuario di San Pietro, questa la raccomandazione rivolta ai 41 pastori che hanno ricevuto una nuova destinazione

di Annamaria BRACCINI

4 Settembre 2020

Un benvenuto sentito alla cinquantina di sacerdoti riuniti nel Santuario di Seveso, «per accogliere le nuove destinazioni, testimoniando il senso di appartenenza a questa Chiesa». È quello che l’Arcivescovo – alla presenza del Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, dei Vicari di Zona e del Vicario per la Formazione permanente del Clero, monsignor Ivano Valagussa – rivolge a tutti i presbiteri che prendono parte alla celebrazione di preghiera per l’inizio del loro nuovo incarico: 41 tra parroci e responsabili di Comunità pastorali.

Un rito che si svolge in Santuario, come momento conclusivo dell’iniziativa «Tempo in disparte» promossa dalla Formazione permanente del Clero: una settimana di Esercizi spirituali e una formativa, svoltasi dal 23 agosto nel contiguo Centro pastorale ambrosiano di Seveso.

Dal Vangelo di Giovanni, al capitolo 10, tradizionalmente proclamato in queste occasioni, si avvia la riflessione dell’Arcivescovo: «Uno solo è il Buon pastore e noi possiamo esserlo perché siamo uno con Gesù. Questo senso di unità del Presbiterio per l’unità della missione è il servizio al popolo di Dio; è un evento irrinunciabile che ci deve plasmare nel nostro modo di pensare e di agire. Non siamo noi i padroni di un pezzetto di Chiesa che ci è affidato».

Uno stile – questo – che sta molto a cuore all’Arcivescovo, come lui stesso raccomanda. Il pensiero va ai futuri sacerdoti che ordinerà domani mattina in Duomo: «I Candidati hanno scelto il motto “Perché il mondo creda”, ma la frase completa è “Che siano una cosa sola perché il mondo creda”. Perciò vorrei raccomandare l’unità: anche tra confratelli nel decanato, nella diaconia, nella parrocchia, come anche l’unità che deve unire il predecessore con il successore in un incarico, perché il cambiamento non è una cesura, ma una continuità di servizio». L’invito è a passare le consegne in modo attento.«Anche questo fa parte dell’unità».

La I Lettera di Pietro, letta in questi giorni e proposta nel commento dall’Arcivescovo a chi ha partecipato a «Tempo in disparte», è particolarmente «prezioso», in questo senso, con quella che lui definisce «la spiritualità degli avverbi»: «Non si tratta solo di fare correttamente le cose che vanno fatte, secondo le indicazioni fornite e la normativa vigente, ma la spiritualità degli avverbi significa uno stile».

Quattro gli avverbi proposti, quindi. «Il primo è “sinceramente”, che significa amarsi con franchezza e trasparenza, comunicando quello che si ha nel cuore. Poi, “intensamente”. L’amore che ci unisce non è una specie di galateo delle buone maniere, ma vuole dire avere a cuore il bene dell’altro in modo intenso».

Il terzo è «avidamente»: «Un sentire che abbiamo bisogno con avidità di un latte spirituale, del dono dello Spirito a cui aspirare». E l’ultimo, «volentieri»: «Prestate il vostro servizio con gioia, con desiderio, non per forza, come costretti».

Una passaggio, quest’ultimo, difficile, «un po’ ostico», ammette l’Arcivescovo, se «magari qualcuno vive un trasferimento non previsto o va verso una destinazione, almeno a prima vista, non attraente o così promettente per le proprie aspettative. C’è una santità in questo “volentieri”. Cioè il poter dire: questo posso fare per dare nutrimento alla mia vocazione, per seminare gioia e speranza nel popolo di Dio».

Infine, la Professione di fede, il giuramento di fedeltà per i parroci o responsabili di CP – ponendo le mani sul Libro dei Vangeli – nell’assumere il nuovo ufficio da esercitare a nome della Chiesa e la lettura, da parte dell’Ordinario, del Decreto di Immissione in possesso, a norma del canone 527. La preghiera universale, la benedizione e il canto della Salve Regina concludono la celebrazione.

 

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