Cinquant’anni. Un bel traguardo da quel 1972, quando il cardinale Giovanni Colombo – dopo aver conosciuto a Parigi l’Associazione dei pensionati cattolici Vie Montante – intuì la grande importanza di avviare una simile realtà anche in Diocesi. Da qui la decisione di fondare il Movimento Terza Età, l’aggregazione laicale che oggi continua felicemente il suo cammino.
E proprio per festeggiare questo Giubileo è l’Arcivescovo a presiedere in Duomo la Messa, concelebrata dal Vicario episcopale per la Zona V, monsignor Luciano Angaroni, da monsignor Franco Cecchin, assistente ecclesiastico del Mte, da don Giuseppe Grampa, rettore dell’Università della Terza Età Giovanni Colombo – che il 3 ottobre ricorderà, a sua volta, i 40 anni di fondazione (leggi qui) – e da don Francantonio Bernasconi, già segretario del cardinale Colombo.
All’inizio della celebrazione, davanti a un nutrito gruppo di associati presenti in Cattedrale, a portare il saluto di benvenuto è il responsabile diocesano del Movimento, Carlo Riganti. Poi l’omelia dell’Arcivescovo – in riferimento alle Letture appena proclamate – si fa ringraziamento per il Movimento, «parte viva della Chiesa di Milano» e incoraggiamento «perché anche altri possano parteciparvi». Tre le parole «che segnano alcuni aspetti fondamentali della spiritualità della III età», scelte da monsignor Delpini.
La sapienza degli anziani
La prima è tratta dal capitolo 18 del Libro del Siracide con l’uomo che «si lascia istruire». «Questo vuol dire che non si finisce mai di imparare, ma che quando si raggiunge una lunga esperienza di vita, il lasciarsi istruire ha dei contenuti particolarmente preziosi per ciascuno, per la società, la famiglia in cui si vive. Proprio perché il tempo vissuto, le esperienze attraversate, gli incontri, i pensieri, le domande generano sapienza in una visione della vita che sa apprezzarne il sapore anche nei giorni che non sono tutti desiderabili e gratificanti o nei passaggi che non vanno tutti in una direzione attraente. Pur considerando anche le sofferenze, c’è la sapienza – nota l’Arcivescovo – che considera la vita non come un accumularsi disordinato di cose, di scadenze, di impegni e di tempi vuoti, ma come una sintesi che dà sapore e che rivela una bellezza. La sapienza della terza età non è come un libro polveroso, ma è quella di coloro che hanno vissuto bene, con spirito di fede, con un’appartenenza convinta alla Chiesa: è come una pagina bianca, un libro ancora da scrivere».
Nasce in questo contesto la precisa responsabilità anche delle persone avanti con gli anni. «Avete qualcosa di nuovo da scrivere con questa sapienza che è capace di alimentare una vigilanza, un’attitudine critica verso le mode di questo tempo. Proprio perché la vostra è una sapienza vissuta e scritta nei giorni e nella carne, permette di vigilare, di non lasciarsi travolgere dalle mode, di non lasciarsi incantare dalla pubblicità, dai luoghi comuni e dagli slogan. È una sapienza che fa percepire le responsabilità che si hanno e come esercitarle in famiglia»
Insomma, una sapienza che «è un modo per aiutare le giovani generazioni, la comunità cristiana civile e la società». «Molti di voi sono preziosi nel volontariato, nella carità, nell’esercizio liturgico, nell’attenzione alla catechesi. Questa sapienza permette di mantenere una forma di vicinanza e di responsabilità anche nei confronti delle istituzioni più alte. Le elezioni politiche, le amministrazioni locali, la situazione internazionale non sono temi che ci passano accanto: ciascuno, con le sue competenze e possibilità, sa che non può sottrarsi a essere una presenza viva e costruttiva in questa Nazione che deve andare verso il proprio futuro, in questa Europa che deve vigilare per non perdere la sua anima e la sua cultura».
Il richiamo è alla proposta culturale dell’Università della Terza Età, che «può favorire l’incontro di tale sapienza con altri sapienti, per vedere le cose con uno sguardo più ampio e una persuasione più realistica del mondo in cui viviamo».
Vivere con speranza e desiderio
La seconda parola è quella ripetuta nella II Lettera di Paolo ai Corinzi – «noi desideriamo, sospiriamo» -, perché «il nostro vivere è un’attesa, un andare verso, un prepararci all’incontro. Noi non viviamo nella staticità di un assestamento, ma siamo in cammino verso l’eterna gloria, vivi perché abitati dalla speranza, perché il nostro sguardo non si rivolge al futuro con quella angoscia di chi si sente predestinato al nulla, ma con quella speranza di chi sa di essere atteso nell’incontro».
«Una vita senza desiderio, senza speranza è già un essere morti, invece noi siamo vivi perché ci prepariamo all’incontro che fa della nostra vita un luogo in cui si manifesta la gloria di Dio, ritenendo ogni giorno prezioso perché ogni giorno è tempo dell’incontro con il Signore». Così come è accaduto al vecchio Simeone al quale, nel Vangelo di Luca 2, viene promesso che non sarebbe morto senza vedere «il Cristo del Signore».
Parlare di Gesù a quanti incontriamo
Infine, la terza parola è ispirata dalla figura della profetessa Anna, delineata sempre nella pagina di Luca, che «parlava del bambino», ossia del piccolo Gesù incontrato nel tempio.
«La nostra responsabilità è di dire a quelli che incontriamo che la speranza non è un’illusione, che la presenza reale di Gesù è motivo di speranza e porta a compimento le attese del popolo di Dio. Noi ci sentiamo come quelli che hanno qualcosa da dire, abbiamo un messaggio da portare che è l’esperienza dell’incontro, la gratitudine per la fede custodita attraverso le prove della vita, la testimonianza di un’appartenenza alla Chiesa di cui ci sentiamo pietre vive. Siamo contenti di essere in questa Chiesa, di averne fatto la storia di questi anni, di avere memoria dei Vescovi e degli eventi che la Chiesa di Milano ha vissuto. Il Signore non ci ha deluso: questa Chiesa ci è stata madre».
Al termine della Messa è monsignor Franco Cecchin che porta il ringraziamento all’Arcivescovo e sottolinea: «Il Movimento ha bisogno dell’attenzione dei presbiteri. Anziane e anziani, ricercate sempre il significato della vita, dando testimonianza in questo mondo dove si è in crisi esistenziale». L’applauso finale dei fedeli e la raccomandazione del vescovo Mario a vivere, passata la boa dei cinquant’anni, «vigili, insieme e fiduciosi, un’epoca nuova», suggella l’intensa celebrazione.
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