Un Liceo con la vocazione del volontariato nel proprio Dna, che, accanto alle nozioni offerte, si pone come compito cruciale la crescita della persona, attraverso esperienze e percorsi formativi, obbligatori per legge, esposti sulla scelta della prossimità. Il Liceo statale “Elio Vittorini”, in cui l’Arcivescovo entra in una mattina come tante all’inizio delle lezioni, nel contesto della sua Visita pastorale al Decanato Barona Giambellino, è tutto questo, come spiega la preside Albalisa Azzariti che lo accoglie con altri docenti.
Accompagnato dal Vicario episcopale per la Zona I monsignor Carlo Azzimonti e dal Decano padre Francesco Giuliani, l’Arcivescovo visita la biblioteca, i laboratori, qualche classe del grande istituto, dove i 3/4 dei 1180 studenti fa appunto, volontariato con progetti come il «No Wall» che si fanno carico dei minori non accompagnati, salendo sulle ambulanze della Croce Bianca, oppure occupandosi di notte dei clochard. Tutti impegni svolti in stretto rapporto con le realtà territoriali del Giambellino, le parrocchie e gli oratori del Decanato.
Ed è con questi ragazzi che l’Arcivescovo dialoga, incontrandone due nutriti gruppi in altrettanti Auditorium del Liceo, nell’ambito di un più ampio confronto degli studenti anche con rappresentanti del Municipio 6 e del Circolo operaio di zona.
Cercando la speranza perduta
«Voglio girare la città come un mendicante, come se avessi perduto una moneta preziosa e come qualcuno che cerca questa moneta che, forse, la città ha perduto», dice subito l’Arcivescovo per il quale tale moneta è la speranza; «Quella che dà delle buone ragioni per desiderare il futuro, con la capacità di costruire una fraternità, dove gli altri non sono considerati un enigma pericoloso, un fastidio da evitare, gente che non centra con me. Mi pare che Milano e la regione in generale abbiano tante risorse, facciano cose meravigliose, ma che abbiano perso la speranza. Se gli adulti si lamentano così tanto della società, del mondo, del pianeta rovinato, come potranno i ragazzi di oggi avere voglia di diventare adulti? Io vi dico, invece, che vale la pena. La speranza non è qualcosa di egoistico, ma può esistere solo se è condivisa». Una condivisione di cui sono immediata testimonianza le domande che i ragazzi pongono, come quando si parla di diseguaglianze e della possibilità di superarle.
Insieme contro le diseguaglianze
«Nella natura degli uomini esiste disuguaglianza, ma è viziata quando vengono create le condizioni solo per il privilegio di alcuni. Così i poveri diventano sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi con un sistema capitalistico che guida il pianeta», scandisce l’Arcivescovo: «È un tema enorme quello di poter combattere tutto questo, ma credo che esistano due direzioni da seguire». Anzitutto, mettendo in campo una solidarietà di base, «con gente che si aiuti e, aiutandosi, si associ, e, associandosi, possa fare valere i propri diritti, perché la protesta del singolo non produce niente, ma la capacità di organizzarsi di un popolo può realizzare la rivendicazione di ciò che è giusto».
Il pensiero va, in concreto, a Milano e alla Lombardia: «Una gran parte del benessere qui nasce dalla capacità dei lombardi di fare cooperazione, per esempio, con le grandi cooperative che hanno costruito case abitabili e dignitose. Così come con le banche di credito cooperativo, nate dalla capacità di associarsi, mettendo insieme quel poco che si aveva».
E poi la politica, «che è cura per il bene comune, per il bene della polis. Vi è bisogno di persone che facciano politica, non per affermare la propria posizione di partito, ma per prendersi cura della città. Forse queste due indicazioni possono sembrare utopiche. Di perfetto non vi è niente, ma questo è possibile, ed è stato fatto nella storia. Voi siete quelli che possono scrivere una storia nuova, in cui la diseguaglianza – un modo per la classe privilegiata di fare i propri interessi -, venga contrastata come un difetto. Prendete in mano quel pezzetto di mondo che vi tocca e trovate il modo per aggiustarlo».
La lontananza tra la Chiesa e i giovani
Non manca un interrogativo sul «poco interesse dei ragazzi per la Chiesa». «Non si può generalizzare, perché i motivi possono essere molto diversi – osserva -. Vi è, certo, il condizionamento sociale per cui andare in chiesa o all’oratorio sembra qualcosa di strano per chi non ha niente da fare. O, forse, perché, talvolta, le proposte – nel panorama di tante attrattive esterne – sono un poco noiose e questo significa che anche la Chiesa deve cambiare, tuttavia non so se ci sia un’agenzia sul territorio più libera e propositiva».
Solidarietà, carità e prossimo
Si prosegue con la domanda sulla differenza tra solidarietà e carità: «La solidarietà dice un senso di appartenenza, ci fa sentire parte di un insieme e questo è un elemento determinante per costruire la città facendo del bene e ricevendone. La carità, invece, penso che possa dire il fondamento della fraternità e della solidarietà, spiegando il perché occorre avere rispetto per gli altri, ossia per il desiderio di Dio che ci chiama ad essere fratelli. La carità, in senso autentico e non intesa come elemosina, è la radice del perché dobbiamo essere solidali, perché siamo stati generati da un amore».
Da qui, la comprensione di chi sia il nostro prossimo, come indica la parabola del Buon Samaritano: «Gesù dice che il prossimo è colui del quale ci si prende cura, perché non esiste un’etichetta per essere prossimi o non esserlo. Occorre creare noi il prossimo, costruendo una reciprocità che ci fa diventare fratelli, condividendo doni. Non è solo una questione di dare o di ricevere».
La vocazione
Infine, la domanda più personale sulla sua vocazione, a cui l’Arcivescovo risponde con semplicità: «Sono cresciuto in una famiglia cristiana e il rapporto con Dio è stato aiutato dal partecipare alla vita di parrocchia. Sono entrato in Seminario in IV ginnasio, con l’idea che fosse bello fare il prete. Poi il mio desiderio si è convertito in vocazione perché ho capito che non è tanto una questione, appunto, di desiderio, ma di dare una risposta a una proposta, seminando speranza. Per me fare il prete rimane bellissimo».
La visita alla Grossman
La mattinata è, poi, proseguita in un altro importante plesso scolastico, la Fondazione Grossman, realtà storica di via Inganni – nata nel 1950 dalla collaborazione dei Padri Giuseppini della vicina parrocchia del Murialdo con le Sorelle della Misericordia -, attualmente articolata, come scuola paritaria, su 4 livelli: la scuola dell’Infanzia, la Primaria, la Secondaria di I e II grado con il Liceo Scientifico e il Liceo Classico.
Salutato dalla rettrice Raffaela Paggi e dal Consiglio di amministrazione, l’Arcivescovo ha incontrato dapprima i 288 bambini delle elementari che lo hanno accolto con un canto e recitando una poesia ispirata al suo racconto Giacomino pennello fino. «La vostra vita è benedetta da Dio che ci vuole bene, e perciò ciascuno può essere una benedizione», il breve insegnamento lasciato ai piccoli.
Sui temi della vita, della libertà, del futuro, del rapporto tra fede e scienza si ė, invece, svolto il dialogo con gli studenti delle Medie e dei Licei: «La fede è la storia di un’amicizia tra noi e il Signore, non è un problema intellettuale. La scienza spiega il mondo, ma non il suo perché – ha sottolineato l’Arcivescovo, soffermandosi anche sui concetti di gioia e di libertà: «La libertà che viene da Gesù è quella di dire di sì all’amore, per cui dipendere da Dio non è un’umiliazione, ma una risposta che libera da tutto il resto. La gioia non è frutto delle circostanze favorevoli, ma di una relazione. L’amicizia affidabile, che non delude, diventa così il principio invincibile della gioia. Abbiamo diritto a desiderare la felicità, ma possiamo trovarla solo nella relazione, nella reciprocità di amare ed essere capaci di amare. Il paradigma di oggi che siamo tutti destinati al nulla, impedisce che vi sia vera felicità, permessa solo dalla relazione con Dio. Da voi mi aspetto che siate contestatori della rassegnazione, di quel clima che induce a dire che non cambia mai niente. Fatevi avanti, dicendo che volete aggiustare quel pezzo di mondo dove vi trovate, fosse anche un metro quadro, così hanno fatto i nostri avi. Costruite vere amicizie per diventare migliori insieme.
Infine, la conclusione con il saluto portato ai bimbi della scuola dell’infanzia e la benedizione a tutti i 1100 studenti, docenti e personale della Fondazione riuniti all’aperto.
Allo Iulm: tra rischio e speranza
Che forma hanno le parole “riqualificazione” e “valorizzazione” in una zona periferica come la Barona? E che ruolo può avere un’Università in dialogo con il territorio, come lo Iulm nella trasformazione e nel rinnovamento del quartiere? A chiederlo all’Arcivescovo Mario, nel contesto della sua Visita pastorale, sono gli studenti dell’ateneo, ormai un fiore all’occhiello tra le accademie milanesi per innovazione, creatività e ricerca. Dopo l’incontro con il rettore Gianni Canova e la visita a diverse zone del campus di tipo nord-americano, tra spazi all’aperto ed edifici dedicati, in compagnia del docente Guido Ferilli, impegnato con i suoi studenti in progetti sinergici con la parrocchia Santuario di Santa Rita.
«Secondo me riqualificare significa far sì che coloro che vi lavorano e vi abitano si sentano parte di un quartiere – spiega -. Ma questo è oggi molto difficile perché la città moderna tende a separare il luogo del lavoro da quello degli affetti. Tuttavia, proprio l’Università con il suo Campus, che è luogo di vita, dimostra che la condivisione è possibile e crea un luogo di speranza».
Poi, una secondo interrogativo relativo al “rischio”, parola dell’anno decretata dallo Iulm: «Il rischio – sottolinea l’Arcivescovo – è una parola che può avere un’accezione negativa quando significa un azzardo. Il rischio è esporsi a un pericolo senza una visione. Questa città corre il rischio di innovarsi, ma senza avere una speranza per il suo futuro. Tale rischio potrebbe essere un azzardo che porta allo spopolamento perché la vita nella metropoli diviene insostenibile dal punto di vista economico per tanti. Ma vi è anche un’eccezione positiva del rischio che richiede intraprendenza e creatività per cui, appunto, si rischia perché c’è una possibilità condivisa di migliorare le cose»
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