Il morbo di Parkinson che aveva colpito il cardinale Martini già nell’ultimo periodo di episcopato a Milano, a poco a poco, ha devastato il suo corpo lasciando intatte l’intelligenza, la memoria, lo sguardo.
Ho avuto la grazia in questi anni, prima a Gerusalemme e poi a Gallarate con don Barbareschi, di incontrare tante volte il Cardinale e, a poco a poco, abbiamo constatato le inesorabili conseguenze del male che lo ha progressivamente privato della parola, ridotta a un soffio appena percettibile e poi dei movimenti.
Ma ancora lo scorso giugno abbiamo potuto insieme celebrare l’Eucaristia. Un’altra volta ricordo ci ha parlato proprio di quella progressiva passività che è la malattia e del suo esito estremo, la morte. Ma aggiungeva solo la morte offre ad ognuno di noi la suprema occasione per affidarci pienamente a Dio come una grande cascata di acqua si getta nel fiume. Ma aggiungeva, confessando le sue paure, spero che in quell’ultima ora ci sia una mano che tiene stretta la mia mano come a vincere i fantasmi dell’ultima ora per affidarmi senza scampo e senza riserve al Signore.
Ha avuto in tutti questi anni la mano amica dei suoi famigliari, dei confratelli gesuiti, di tanti amici e soprattutto di don Damiano, una presenza filiale piena di dedizione.
Dopo l’emozione di queste ore la memoria ripercorrerà gli ottantacinque lunghi anni della sua esistenza e soprattutto gli anni milanesi, anni dominati dalla passione per la Parola di Dio. Questo è stato davvero il suo grande esclusivo amore fin dalla fanciullezza.
Il Cardinale voleva che sulla sua tomba ci fossero le parole del salmo: «Lampada ai miei passi la tua parola, luce al mio cammino». E in quest’ora che ci priva di una presenza davvero illuminante, risplenda la gratitudine perché sulla nostra strada ha tenuto accesa la lampada della Parola, fino a quando si leverà la stella del mattino.