Con la Messa presieduta sabato scorso in Duomo dall’arcivescovo Delpini (leggi qui) sono iniziate le celebrazioni commemorative per i 120 anni dalla nascita del beato don Carlo Gnocchi e i 70 della sua opera. Ne parliamo con monsignor Angelo Bazzari, presidente onorario della Fondazione e incaricato per la custodia e la diffusione del messaggio del beato Carlo Gnocchi.
Quali tratti confermano l’attualità di una figura come don Carlo e la continuità della sua opera?
Ci sono alcune caratteristiche peculiari legate alla persona di don Gnocchi, mentre l’eredità che ha lasciato è incentrata sul dolore e sulla sofferenza, a cui ha risposto con la solidarietà. Il percorso compiuto da don Carlo è partito dal dolore della Campagna di Russia, accanto ai suoi amici alpini. È lì che ha immaginato di realizzare un’opera di carità come Dio gli ha poi suggerito. «Questa è la mia carriera – diceva – e questo è un privilegio». Quando è riuscito miracolosamente a tornare a casa, non ha fatto altro che attingere dentro di sé quelle caratteristiche che non sono finite con la sua morte, ma sono continuate. E i tratti sono quelli di pionierismo, profezia e restaurazione (oggi diremmo riabilitazione) della persona umana e la capacità di travasare nell’opera l’anima che lui stesso aveva acquisito, motivazioni ideali e valori. Tutto questo filtrato e drenato dalle diverse condizioni sociali che la Fondazione ha attraversato, applicandole non più ai “mutilatini”, ma allargandosi ad altre persone fragili. L’opera che ha costruito è stata la risposta al dolore innocente, degli esordienti della vita, dei bambini, che lui chiamava «le mie reliquie».
Gli alpini ancora oggi sono a fianco della Fondazione…
Certo. Come Fondazione abbiamo continuato il rapporto con loro perché i primi bambini che don Carlo ha ospitato sono stati i figli dei suoi alpini; poi è passato ai “mutilatini”. Questi sono i tratti che abbiamo ereditato, sempre ispirandoci a lui. Sono convinto che se la Fondazione vuole godere di attualità da un punto di vista tecnico-scientifico deve acquisire i ritrovati della ricerca e della scienza, ma soprattutto tener viva l’anima che costituisce il fermento di tutta la sua attività.
La memoria e l’affetto per don Carlo superano i confini della Diocesi ambrosiana, e non solo per la presenza di tante strutture di cura in diverse regioni italiane…
Don Gnocchi è un prete ambrosiano, ma dal respiro universale. La sua attività infatti l’ha svolta su scala nazionale e anche internazionale. I principi educativi li ha assimilati con il cardinale Ferrari e poi soprattutto con il cardinale Schuster. La Diocesi ha dato attenzioni particolari, ma ora dovremo sviluppare altre attività. Anche perché – come diceva il cardinale Martini -, non è più una questione solo della Fondazione, ma della Chiesa locale, soprattutto dopo la beatificazione. Tuttavia l’attività non è stata solo intra ecclesiale, perché don Gnocchi ha avuto rapporti con le istituzioni.
Don Carlo in punto di morte ha lasciato un messaggio che è diventata quasi una consegna…
Quando concluse la sua vita, parlando dei suoi mutilatini, disse: «Altri potranno servire di più e meglio di quanto ho saputo e potuto fare io, ma amarvi come vi ho amato io, forse nessuno». Io dicevo spesso agli operatori, dai dirigenti fino agli operai, che noi dobbiamo competere con don Gnocchi perché con le tecnologie possiamo davvero migliorare, ma siamo perdenti rispetto all’amore che lui ha immesso nella sua opera. Se dobbiamo unire professionalità e competenza alla passione e dedizione con motivazioni forti.
Come continueranno le celebrazioni?
Gli eventi sono già in corso. Gli alpini, per esempio, in occasione dei loro 150 anni hanno curato la riedizione di Cristo con gli alpini, abbinato a Famiglia cristiana e Credere. Il prossimo evento sarà il 12 novembre alle 20.45 con un concerto del Coro dell’associazione alpini di Milano presso l’Auditorium della Fondazione Cariplo (largo Mahler, Milano). Firenze sta dedicando una via o una piazza a don Carlo. Ci sono una serie di iniziative anche spontanee che poi ci comunicano: sono contento che agiscano in autonomia sul territorio. Se i responsabili della Fondazione sapranno accompagnare tutto questo, il cammino proseguirà. Io ho sempre sostenuto che ad attirare la Fondazione è don Gnocchi: se questo tesoro, questa riserva di motivazioni e i tratti speciali di cui abbiamo detto, riusciremo a transitarli nell’attività – che si è differenziata nel tempo, ma che ha sempre come filo conduttore la sofferenza -, avremo fatto “bingo”.
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