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L’Eucaristia, cuore della Domenica

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11 marzo 2018

L’Amen finale sigilla la partecipazione dei fedeli al rito

Un atto di fede nel sacramento dell’eucaristia e insieme un atto di adorazione rivolto a Gesù. Pubblichiamo monizione e presentazione a cura della Pastorale liturgica

a cura del SERVIZIO PER LA PASTORALE LITURGICA

27 Febbraio 2018

L’ultimo intervento dell’assemblea nella preghiera eucaristica è l’amen conclusivo, una sorta di firma con cui i fedeli sottoscrivono le parole che il sacerdote ha rivolto a Dio Padre, e un sigillo, che marchia a fuoco la loro partecipazione al rito eucaristico disponendoli a ricevere con fede la comunione.

Il termine, di matrice ebraica, non fu tradotto né nel passaggio al greco e al latino, né in quello alle diverse lingue volgari voluto dall’ultima riforma liturgica, ma si mantenne sempre conforme all’originale, «non per nasconderne il senso – scriveva Sant’Agostino – ma per evitare di impoverirlo».

In italiano amen può anche essere reso con l’espressione «così è / così sia», purché la si intenda come una solenne professione di fede, al tempo stesso comunitaria e personale: «Crediamo (credo) con tutta la mente, il cuore e le forze che così è e così sarà; abbiamo (ho) la certezza che quello che è stato detto si compie qui adesso e continuerà a compiersi in futuro; riconosciamo (riconosco) la piena verità del mistero che le parole del sacerdote hanno annunciato».

L’amen, come acclamazione liturgica di un popolo di credenti, è ben attestato nell’Antico Testamento, specialmente a conclusione dei diversi libri che compongono il salterio, dopo la formula di benedizione: «Sia benedetto il Signore, Dio d’Israele, da sempre e per sempre. Amen. Amen» (Sal 41, 14); «Benedetto il Signore Dio d’Israele: egli solo compie meraviglie. E benedetto il suo nome glorioso per sempre: della sua gloria sia piena tutta la terra. Amen. Amen» (Sal 72, 18-19); «Benedetto il Signore in eterno. Amen. Amen» (Sal 89, 53); «Benedetto il Signore, Dio d’Israele, da sempre e per sempre. Tutto il popolo dica “Amen”. Alleluia» (Sal 106, 48).

L’uso liturgico dell’amen prosegue nel Nuovo Testamento, con alcune sue specifiche caratteristiche: – Gesù, che è il «sì» della fedeltà di Dio all’uomo e della fedeltà dell’uomo a Dio, è colui per mezzo del quale «sale a Dio il nostro amen» (2Cr 1, 20); – Gesù non è solo il mediatore del nostro amen, ma è l’Amen in persona, il «Testimone degno di fede e veritiero» (Ap 3, 14), colui che, essendo la Verità fatta carne (cf Gv 14, 6), adempie per sempre le promesse del Padre; – a Gesù, «colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue», è rivolto, insieme al Padre, il nostro amen, che ne proclama «la gloria e la potenza nei secoli dei secoli» (Ap 1, 6); – all’amen, che oggi sale dalla terra al cielo (l’amen della Chiesa in cammino nel tempo), corrisponderà l’amen di coloro che «nei secoli dei secoli» staranno davanti «a Colui che siede sul trono e all’Agnello» per tributare «lode, onore, gloria e potenza» senza fine (Ap 5, 14).

Ammaestrata dalla Sacra Scrittura, la Chiesa ha voluto incrementare l’uso dell’amen da parte dei fedeli, affidando a questa parola il compito di contrassegnare alcuni dei momenti più significativi della liturgia cristiana, tra i quali spicca la preghiera eucaristica. Fin dall’antichità infatti l’assemblea dei fedeli chiudeva la dossologia trinitaria con cui terminava la preghiera eucaristica («Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli») con il canto o la recita dell’amen.

Di questo amen si possono mettere in luce diversi aspetti: manifesta la dignità sacerdotale dei fedeli che, resi partecipi della mediazione sacerdotale di Cristo e animati dallo Spirito Santo, glorificano Dio Padre per il mistero santo dell’eucaristia; è un atto di fede nel sacramento dell’eucaristia, per mezzo del quale possiamo accedere alla salvezza che Cristo ha operato una volta per sempre sull’altare della croce; è un atto di adorazione di Gesù Cristo, l’Amen, il Testimone degno di fede e veritiero che ci invita alla comunione con lui per vivere di lui e della sua parola; è il preannuncio della futura liturgia celeste, quando contempleremo eternamente il volto di Dio e – come scriveva Sant’Agostino – «sarà con commozione ben superiore e indicibile che potremo dire: amen».

La ricchezza dei contenuti spirituali appena ricordati potrà essere colta più facilmente da tutti i partecipanti al rito liturgico anche grazie al modo con cui questo amen verrà eseguito. Prendendo a prestito l’immagine usata da San Girolamo, esso dovrebbe risuonare al cuore della santa messa come un «rombo di tuono» capace di scuotere l’edificio di culto. Ciò potrà avvenire se tutta l’assemblea, stando in piedi e accompagnata dall’organo, lo eseguirà in canto, ripetendo più volte l’amen della fede in un crescendo espressivo e sonoro.

La monizione per tutte le Messe

L’ultimo intervento dell’assemblea nella preghiera eucaristica è l’amen conclusivo. Questa parola ebraica, attestata in tutta la Sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento, è messa sulle labbra dei fedeli perché possano manifestare la loro adesione di fede alle parole del sacerdote e all’opera di Dio evocata in quelle parole. Nel caso specifico, l’amen che chiude la preghiera eucaristica, è da considerarsi un atto di fede nel sacramento dell’eucaristia e un atto di adorazione rivolto a Gesù, l’Amen di Dio, che anticipa sulla terra l’amen cantato nella liturgia celeste. Ecco perché la sua esecuzione in canto da parte di tutto il popolo di Dio è da considerarsi la sua migliore modalità celebrativa.  

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