Una comunità di chiamati per nome, comunità non dei migliori, ma degli amati dal Signore, convocati per rispondere, senza paura, a una vocazione di fraternità e di amicizia capace di costruire un mondo dove sia bello vivere. È questo il messaggio che papa Francesco, nella cerimonia di accoglienza, lascia ai 500 mila giovani della XXXII Giornata mondiale della Gioventù che popolano la spianata del Parco Eduardo VII di Lisbona e, tra stringenti misure di sicurezza, ogni strada della grande area circostante, da ore interdetta al traffico cittadino.
In una scenografia splendida, tra il sole e il vento che fa sventolare ancor più le bandiere dei 200 Paesi del mondo rappresentati, i cori e i canti spontanei in tante diverse lingue si confondono con gli inni e le immagini delle Gmg del passato, amplificate sui megaschermi disposti lungo l’itinerario che, muovendo dalla Nunziatura apostolica, viene percorso sulla papamobile da cui Francesco, in piedi, saluta e benedice ali di folla, accolto dal Patriarca di Lisbona, il cardinale Manuel Clemente.
Tra momenti solenni, come l’entrata della croce e dell’icona della Giornata, i tanti intermezzi musicali e le coreografie animate da giovani di molte nazionalità, l’attesa cresce e scoppia il boato quando il Papa saluta semplicemente con un «Cari giovani, buonasera», il “suo” popolo, del quale ascolta «il simpatico chiasso», come lo definisce, facendosi «contagiare dalla gioia».
«Nella Chiesa c’è spazio per tutti»
Ma subito il discorso (leggi qui) si fa profondo, andando a toccare una delle ragioni cardine (talvolta dimenticata) per cui si partecipa alla Gmg: «Amici, non siete qui per caso. Il Signore vi ha chiamati, non solo in questi giorni, ma dall’inizio dei vostri giorni. Sì, Lui vi ha chiamati per nome. Al principio della trama della vita, prima dei talenti che abbiamo, delle ombre e delle ferite che portiamo dentro, siamo chiamati. In questa Giornata mondiale della Gioventù, aiutiamoci a riconoscere questa realtà essenziale: siano questi giorni echi vibranti della chiamata d’amore di Dio, perché siamo preziosi ai suoi occhi, nonostante quello che a volte vedono i nostri occhi, annebbiati dalle negatività e abbagliati da tante distrazioni».
Chiarissimo – ed esplicito nelle parole del Santo Padre – il richiamo alle difficoltà che vivono oggi i giovani, persi in un diluvio di parole e di informazioni spesso distorte: «Se Dio ti chiama per nome significa che non sei un numero, ma un volto. Vorrei farti notare una cosa: tanti, oggi, sanno il tuo nome, ma non ti chiamano per nome. Il tuo nome infatti è noto, appare sui social, viene elaborato da algoritmi che gli associano gusti e preferenze. Tutto questo però non interpella la tua unicità, ma la tua utilità per le indagini di mercato. Quanti lupi si nascondono dietro sorrisi di falsa bontà, dicendo di conoscere chi sei, ma non volendoti bene, insinuando di credere in te e promettendoti che diventerai qualcuno, per poi lasciarti solo quando non interessi più. Sono le illusioni del virtuale e dobbiamo stare attenti a non lasciarci ingannare, perché tante realtà che ci attirano e promettono felicità si mostrano poi per quello che sono: cose vane, superflue, surrogati che lasciano il vuoto dentro. Gesù no: Lui ha fiducia in te, per Lui tu conti».
Per questo, al di là di timori e paure di non essere accettati o adeguati (come i ragazzi hanno scritto nelle lettere inviate al Papa in vista della Giornata), «nella Chiesa c’è spazio per tutti e, quando non c’è, per favore, facciamo in modo che ci sia, anche per chi sbaglia, per chi cade, per chi fa fatica. Perché la Chiesa è, e dev’essere sempre di più, quella casa dove risuona l’eco della chiamata. Il Signore non punta il dito, ma allarga le braccia: ce lo mostra Gesù in croce. Lui non chiude la porta, ma invita a entrare; non tiene a distanza, ma accoglie. In questi giorni inoltriamo il suo messaggio d’amore, che libera il cuore e lascia una gioia che non svanisce».
Ma come? «Chiedendo il nome a chi incontrate e pronunciando i nomi degli altri con amore». E questo non per mettersi a posto la coscienza, ma per continuare a fare e a porsi domande, «perché chi domanda resta “inquieto” e l’inquietudine è il miglior rimedio all’abitudine, a quella normalità piatta che anestetizza l’anima».
«Fate domande a Dio»
Da qui un secondo invito: «Le domande che avete dentro, quelle importanti, che riguardano i vostri sogni, gli affetti, i desideri più grandi, la speranza e il senso della vita, non tenetele per voi, ma rivolgetele a Gesù. Chiamatelo per nome, come fa Lui con voi. Portategli i vostri interrogativi e confidategli i vostri segreti, la vita delle persone care, le gioie e le preoccupazioni e anche i problemi dei vostri Paesi e del mondo. Allora scoprirete una cosa nuova, sorprendente: che quando si domanda al Signore, quando ogni giorno gli si apre il cuore, quando si prega davvero, accade un ribaltamento interiore. Così Dio entra in dialogo con noi e ci fa maturare in ciò che conta davvero: dare la vita».
«Tutti abbiamo i nostri timori, non è quello il punto: siamo umani. Il punto è che cosa fare delle paure che abbiamo. Dio ci chiama proprio nelle nostre paure, nelle nostre chiusure e solitudini. Non chiama quelli che si sentono capaci, ma rende capaci quelli che chiama. Il Signore ha fatto meraviglie con Abramo, che era anziano e si sentiva arrivato, con Mosè che aveva paura di parlare perché balbettava, con Pietro che era impulsivo e sbagliava spesso, con Paolo che si era macchiato di grandi malefatte. Nessuno di loro era perfetto, ma tutti loro si sono legati al Signore. Sono stati “connessi” con Lui. Ecco il segreto».
Un restare connessi non agli onnipresenti social, ma al Vangelo che, nel brano di Luca 10 poco prima proclamato, racconta della missione affidata da Gesù a discepoli impreparati e impauriti, inviati senza «borsa, né sacca, né sandali», per le strade del mondo. Affrontando con coraggio la vita, con un “sì’ nel cuore come fece Maria, «che, specialmente in questi giorni, ci tiene per mano e ci indica la via. Lei, «la creatura più grande della storia, non perché avesse una cultura superiore o abilità speciali, ma perché non si è mai staccata da Dio», conclude Francesco.
Infine, dopo la recita del Padre Nostro, la benedizione finale e il momento di invio, prima che il mare umano di giovani rompa le righe in un “chiasso” nutrito di speranza e di voglia di vivere. Come racconta Bianca, che viene da Milano e che non si è «persa una parola di quello che mi ha detto il Papa». Ed evidentemente nemmeno delle litanie dei Santi, in cui sono stati citati – e lo sottolinea – don Bosco e la santità italiana giovane e della porta accanto, Chiara Luce Badano e, accolto da un applauso, Carlo Acutis.