La lunga processione dei concelebranti, delle rappresentanti della Vita Consacrata femminile e dei Fratelli oblati con le candele, che muove dall’altare della “Madonna dell’Albero” portando tra i fedeli l’icona della “Madonna dell’Idea”; i Dodici Kyrie che risuonano nella Cattedrale dove trovano posto moltissime Consacrate, Consacrati e centinaia di fiammelle accese. È la Celebrazione vigiliare per la XXIII Giornata Mondiale della Vita Consacrata, che ricorre nella Festa liturgica della Presentazione del Signore al Tempio, la “Candelora” della devozione popolare. Oltre 30 i concelebranti, tra cui tutti i Vescovi ausiliari (cui si aggiunge l’abate dell’abbazia dei Monaci Benedettini Olivetani di Seregno, monsignor Michelangelo Tiribilli), i vicari episcopali di Zona e di Settore, superiori e appartenenti a Congregazioni e Ordini religiosi. «Le Consacrate e i Consacrati presenti la ringraziano. Stiamo vivendo un anno particolarmente intenso e affascinante. Nella sua Lettera pastorale, ci ha indicato che dobbiamo essere uomini e donne di preghiera che sanno insegnare a pregare. Ci interroghiamo perché cresca in tutti la dimensione di preghiera e la consapevolezza di essere in cammino verso la Gerusalemme celeste», dice, nel suo saluto di apertura, monsignor Paolo Martinelli, vescovo ausiliare e vicario episcopale per la Vita Consacrata Maschile e le Forme di Nuova Consacrazione, sottolineando anche il gesto di portare all’altare, durante l’Offertorio, un cero, espressione della vicinanza e della preghiera di tutti i Monasteri di Clausura della Diocesi.
La profezia di Simeone rivolta a Maria – “Anche a te una spada trafiggerà l’anima” -, con le parole del Vangelo di Luca appena cantato dal diacono, è il filo rosso che annoda tutta la riflessione del vescovo Mario.
«L’anima trafitta è una esperienza diffusa: forse tutti, prima o poi, attraversano i giorni in cui la vita personale, o della famiglia o di una comunità, è segnata da una ferita profonda, da un dolore intenso, da uno strazio angoscioso. L’anima, infatti, è vulnerabile, sensibile e, in molti modi e per molte cause, è esposta al soffrire. Tuttavia, diversa è la ferita come diversa è la spada che trafigge», scandisce.
E così è anche per la Vita consacrata che talora, «sembra travolta da uno sconvolgimento incontrollabile e, talora, sembra adattarsi con rammarico a una situazione cambiata, accettata con rinunce e fatiche, con la testa bassa. Spesso, così, risulta segnata da una specie di malumore, di risentimento, di sconfitta, di grigia rassegnazione e di scoraggiamento per la constatazione che si ferma ossessivamente sui numeri che diminuiscono, sugli acciacchi dell’età che cresce».
Ma proprio per questo, Maria «può essere il modello della Vita consacrata anche a proposito di quella spada che trafigge l’anima che potremmo chiamare lo struggimento dell’amore, di quel desiderio di entrare nel mistero del Figlio che è come un’impazienza di contemplazione svelata, di pienezza di comunione».
Evidente il suggerimento per la Vita consacrata di oggi: «Le persone che vivono la speciale consacrazione sono anime ferite d’amore: sospirano l’incontro, testimoniano con la loro vita, le loro parole, con la loro preghiera, che l’attesa del compimento è una dimensione irrinunciabile della vita cristiana, è un fremito che anima ogni giorno, è una chiamata che persuade al pellegrinaggio fino alla terra promessa, avvertendo che, lungo il camino cresce il suo vigore, perché la meta si fa più affascinante. E questo in qualunque età, in qualunque numero e condizione di salute delle nostre comunità».
Una spada che trafigge l’anima della Madre che è anche lo struggimento per la comunione. «Simeone, infatti, profetizza che la missione di Gesù sarà accompagnata dalla contraddizione: per alcuni sarà la risurrezione e la salvezza, per altri sarà il rifiuto e la rassegnazione alle tenebre. Ma la contraddizione e la contrapposizione tra i figli è come una spada. La Madre vorrebbe la concordia, ed, ecco, la divisione e il contrasto; la Madre vorrebbe tutti insieme nella casa e i fratelli, invece, non si sopportano e si mettono gli uni contro gli altri. Il cuore della Madre ne è lacerato. Anche in questo la Vita consacrata imita Maria: vede i fratelli e le sorelle desiderati che si allontanano, diventano indifferenti, talora, anche ostili».
Da qui, la consegna a coloro che hanno fatto del servizio alla Chiesa la loro missione.
«Così è chiamata a vivere questo tempo la Vita consacrata: sperimentando l’anima trafitta. Non però trafitta dal piangersi addosso, dal lasciarsi prendere dal risentimento come se fosse legittimo affliggersi perché la storia sembra decretare il fallimento di una attrattiva, il concludersi di una forma storica, richiedere e imporre l’esaurirsi delle forze e delle risorse».
«Le ferite – e noi siamo chiamati a soffrire, fino a sentirci trafiggere l’anima -, sono lo struggente desiderio del compimento della comunione con Dio e lo struggente desiderio di una fraternità universale che si riunisca intorno a Gesù, che condivida lo spezzare del pane e diventi un cuore solo e un’anima sola».
Poi, a conclusione della Celebrazione, la lettura, da parte del Cancelliere arcivescovile, monsignor Marino Mosconi, del Decreto di Promulgazione delle Costituzioni sinodali “Chiesa dalle Genti, responsabilità e prospettive. Orientamenti e norme”.
Il ringraziamento è per la Commissione sinodale, per i Consigli Presbiterale e Pastorale Diocesano (molti membri sono presenti in Duomo) e per tutti coloro – singoli, parrocchie e Comunità – «che hanno contribuito al buon esito del Sinodo che è stato celebrato perché ci siamo sentiti trafiggere l’anima dal desiderio di comunione che la Chiesa fosse la casa ospitale per tutte le genti, da qualunque parte del mondo siano venute. Siamo fratelli e sorelle, siamo insieme nell’unica Chiesa dalle Genti».
E, dopo la benedizione finale, l’Arcivescovo e gli altri Vescovi si recano per una breve preghiera di omaggio sulle tombe del cardinale Carlo Maria Martini, del beato Alfredo Ildefonso Schuster, entrambi appartenenti a Ordini religiosi – il primo, gesuita e, il secondo, benedettino – e del beato Andrea Carlo Ferrari di cui si ricorda, il 1 febbraio, la memoria liturgica.