Non solo la presentazione di un libro o la storia – ben scritta da un giornalista e vissuta, in prima persona, da un credente – di una malattia quasi mortale.
Il libro autobiografico di Vittore De Carli, presidente dell’Unitalsi lombarda, è molto di più: è un viaggio, come recita il titolo, “Dal buio alla luce con la forza della preghiera”. Il volume (edito dalla Libreria Editrice Vaticana) viene presentato presso la Chapelle Nôtre Dame, con l’intervento dell’Arcivescovo, presenti il vescovo emerito di Mantova, monsignor Roberto Busti, assistente dell’Unitalsi di Lombardia, mons. Dario Edoardo Viganò, assessore del Dicastero Per la Comunicazione della Santa Sede e De Carli stesso con la moderazione della vicepresidente Unitalsi della nostra regione, Graziella Moschino.
È il vescovo Mario che, in apertura, sottolinea: «Molto di quello che succede nel pellegrinaggio è merito dell’Unitalsi, non solo per questi giorni, ma per la sua storia che tiene viva un’attenzione e una sollecitudine edificante, che non è solo gesto spicciolo, ma che si fa vera e propria istituzione.
Il libro è occasione per entrare nella vita di un uomo che ha sperimentato la malattia.
Vorrei condividere con Vittore e con voi tutti un obiettivo concreto che si può ricavare dal volume, ossia realizzare un sogno che mi sembra ispirato da Dio, un’offerta di ospitalità gratuita a quelle famiglie che devono accompagnare a Milano i figli che necessitano di cure. Che Milano sia promettente per quanto riguarda le terapie, rappresentando un’eccellenza che attrae, è bello e, tuttavia, a ciò non corrisponde un’adeguata ospitalità».
Chiaro il riferimento all’iniziativa che la pubblicazione del volume intende sostenere con il suo ricavato, una casa di accoglienza per famiglie di bimbi malati, promossa all’interno del “Progetto dei Piccoli” da intitolare a Fabrizio Frizzi, a lungo testimonial di Unitalsi e volontario.
«Avendo provato cosa significa essere malato e aver bisogno di assistenza, De Carli – prosegue l’Arcivescovo – ha potuto constatare che non tutti hanno la possibilità di avere vicino i familiari. È commovente sapere che vi è chi ha trovato nella sofferenza e nella preghiera la luce e lo è anche che questa esperienza possa diventare un elemento di concreta ospitalità. Esprimo il mio incoraggiamento, l’apparovazione, e voglio essere anche io nella squadra che sostiene l’iniziativa».
Poi, è la volta di monsignor Viganò. «Il titolo “Dal buio alla luce”, dice l’approccio con cui Vittore ha attraversato i 47 giorni di coma nell’agosto 2015. Ma il titolo potrebbe essere anche “dal bianco e nero ai colori”, “dalla indifferenza alla custodia attenta”. Il libro apre molte finestre da cui guardare questa vicenda personale che, però, è di tutti».
Storia per non abituarci. «La stanza di ospedale è definita dagli studiosi un “non luogo” che ci abitua a non avere relazioni: invece, può diventare uno spazio in cui incontrarsi e coltivare relazioni vitali».
Tornano alla mente i nomi e gli amici “di malattia” che l’autore delinea: c’è Secondo, c’è Anna, Arnaldo e Antonio che si lasciano contagiare dello sguardo di Gesù e recitano il Rosario con la corona regalata a Vittore dal Papa e che lui dona, a sua volta, a loro».
Insomma, si incontrano amici anche nel dolore e nelle corsie di un ospedale, ma la condizione «è avere un cuore disponibile alla novità, per trasformare un luogo asettico in uno caldo».
La malattia isola, divide – come scrive De Carli nelle prime pagine – ed esaspera, ma, in realtà, con il libro riconverte questa solitudine in un’ocasione di relazione, di convocazione anche di un’umanità ferita. «Le pagine da vergate si prendono cura anche di chi le scrive, perché il dono della nostra sofferenza a Cristo torna da lui a noi come storia credente», conclude Viganò.
Monsignor Busti parla della preghiera, la parola che più lo ha colpito del volume e richiama Santa Teresa di Calcutta, conosciuta a Calcutta negli anni ’90.
«Il segreto della sua opera di carità era la preghiera, appunto». Così come ricorda il cardinale Comastri nella prefazione al libro: “Senza preghiera siamo senza Dio e, senza Dio, siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri”.
L’unica strada per conoscere Gesù è la sua sequela
Dopo poco, quasi seguendo un filo logico e riannodando quello che lega esperienza concreta della malattia e preghiera, si va al Bureau des Constatations Medicales, dove accolti dal 15esimo presidente, l’italiano Alessandro De Franciscis, l’Arcivescovo legge il Vangelo dei Marco al capitolo 8, durante il tradizionale incontro lourdiano del sabato pomeriggio che riunisce, presso la Cappella di Cosma e Damiano interna al Bureau, medici e personale infermieristico di passaggio o che qui lavora e opera permanentemente.
La riflessione dell’Arcivescovo è tutt’un invito a comprendere Gesù, attraverso l’aiuto che viene, appunto, dalla pagina appena proclamata.
«Ci interessa capire chi è Gesù? Come parlarne e conoscerlo? L’unico modo serio di amare Gesù è quello di chi dice che senza di lui non si può vivere e sperare di dare un senso alla propria esistenza.
Tre le alternative delineate.
«Un percorso è quello di valutare Gesù in base alla tradizione religiosa, con le categorie e il modo di pensare che tenta di classificare questo rabbi che percorre le strade della nostra terra. Ma ritenerlo solo un fenomeno religioso che attraversa Israele non è la vera risposta. È un’interpretazione che non si rivela adeguata».
Altra risposta non adatta è quella di Pietro quando esclama: “Tu sei il Cristo”, quello che realizza le nostre aspettative, colui che deve liberare Israele, che finalmente dà compimento alle promesse dei profeti”.
«Anche questa aspirazione di un Messia trionfale, è ancora inadeguata».
È lo stesso Signore a indicare, invece, la strada: «Non lo si può conoscere se non condividendo la sua vita, lasciando ogni speranza se non la sua. La conoscenza di Gesù non è quella religiosa, teologica o una proiezione delle speranze e delle aspettative: è un sequela da praticare mettendo a rischio la propria vita».
La bella e spirituale preghiera di Santa Bernadette, recitata in più lingue che si armonizzano tra loro, conclude il momento di raccoglimento.
Infine, c’è ancora tempo (poco, perché si va veloci verso la processione eucaristica) per conoscere il personale, tra cui diversi italiani e lombardi, per apporre la propria firma, da parte di monsignor Delpini, nel “Libro d’Oro” e per scorrere quelle di tanti medici passati dal Bureau e di una Santa, Gianna Beretta Molla, che qui fu nel 1954.
Alle 17.00, tutti, come ogni giorno, si ritrovano presso la cosiddetta Prateria per la Processione Eucaristia internazionale. L’Arcivescovo porta tra le mani il Santissimo con cui benedice, al termine della Celebrazione nella Basilica sotterranea, molte centinaia di malati.