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Percorsi ecclesiali

La Pasqua 2023 nella Chiesa ambrosiana

Sirio 01 - 10 novembre 2024
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Sabato Santo

«Celebrare la Pasqua è compiere un passaggio»

Nell’omelia della Veglia presieduta in Duomo l'Arcivescovo ne ha richiamati tre: quello dei catecumeni verso la Chiesa, quello di tutti i fedeli verso la riconciliazione e quello dei popoli verso la pace

di Annamaria BRACCINI

9 Aprile 2023
Il battesimo di una catecumena

La notte “diversa da tutte le altre notti”, in cui si vive la Risurrezione del Signore, «la madre di tutte le sante veglie», come la definì Sant’Agostino, veglia di Pasqua vissuta, a Milano e in tante altre parti del mondo, come passaggio per invocare la pace tra i popoli.

È la veglia presieduta in Duomo dall’Arcivescovo, concelebrata dai Canonici del Capitolo metropolitano e da alcuni sacerdoti impegnati nell’accompagnamento dei catecumeni, che durante la Messa ricevono i sacramenti dell’iniziazione cristiana. E sono proprio 9 battezzandi – su un totale di 74 che, nelle loro parrocchie sparse nell’intera Diocesi, diventano cristiani nella stessa notte – a porgere all’Arcivescovo, all’ingresso della Cattedrale, il lume a cui si attinge il fuoco per accendere l’artistico cero pasquale, elaborato dalle Clarisse del Monastero di clausura cittadino di Gorla, che viene poi posto in altare maggiore, come segno della luce che entra nel mondo con il Cristo risorto. Gesto antichissimo ed emblematico, così come tipico, nel rito ambrosiano, è il testo latino del Preconio pasquale, risalente alla fine del V secolo-inizio del VI che, all’inizio della Veglia, viene cantato dal diacono quale sintesi poetica dell’intera storia della salvezza.

Veglia pasquale 2023
L’Arcivescovo accende il cero

Guidati dalla straordinaria ricchezza della Parola di Dio, attraverso nove Letture – sei dai libri sacri di Israele – si contempla, così, il miracolo della perenne novità del Signore prefigurata nel primo Testamento. Finalmente, il triplice annuncio della Risurrezione, Christus Dominus resurrexit, anch’esso peculiare del rito ambrosiano e in tutto simile al Cristos Anesti della liturgia bizantina nella Pasqua ortodossa – alla veglia assiste anche l’archimandrita del Patriarcato di Mosca, padre Ambrogio Makar – viene proclamato, con voce crescente, dall’Arcivescovo ai tre lati dell’altare maggiore. Le campane, in silenzio dalla celebrazione della Passione del Signore del Venerdì santo, si sciolgono e torna l’atteso canto dell’Alleluia, assente dalla prima domenica di Quaresima.

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La gioia per il Signore risorto

È la gioia per il Signore risorto, per la luce che sconfigge le tenebre di un’umanità che cammina, ma non sa dove andare. All’avvio dell’omelia il riferimento alle letture appena proclamate diventa così la parafrasi della condizione degli uomini di tutti i tempi che, per sentirsi rassicurati, hanno preferito «gli idoli costruiti dalle loro mani alle promesse di Dio», che «chiamati da una promessa, si sono smarriti in un deserto in cui si sentono abbandonati e dove non c’è più alcun segno che indichi la direzione per la terra promessa». Gli stessi uomini che «hanno crocifisso Gesù di Nazareth, perché il regno che annunciava non corrispondeva in nulla al trionfo mondano che ci si aspettava».

Ma è proprio «là dove la vita sembra inghiottita dalla morte, là dove il nemico invincibile incalza alle spalle e ogni via di fuga è impedita dalle acque del mare, che Dio apre una strada». Quella via – non a caso, in antico, i cristiani venivano anche detti «quelli della via» – che passa dalla Pasqua del Signore e apre il passaggio alla vita. Infatti, «tutta la grande veglia è la celebrazione del passare: celebriamo perciò la Pasqua accogliendo l’annuncio che ci chiama a compiere il nostro passaggio», sottolinea l’Arcivescovo.

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Il passaggio alla vita nuova

Se la Pasqua – dall’originale aramaico pasach che significava «passare oltre», commemorando la liberazione dei figli di Israele dalla terra d’Egitto -, «è il grande passaggio che apre finalmente una strada al popolo che il deserto ha bloccato», ciascuno, allora, è chiamato alla conversione, al cammino che, con il battesimo, entra nella sua svolta decisiva. «Così come i catecumeni compiono il grande definitivo passaggio nell’acqua del battesimo».
«Ciascuno di coloro che compiono questa notte l’iniziazione cristiana, come mi hanno raccontato, ha la sua storia, talora drammatica come un esodo, talora entusiasmante come la scoperta di un amore, talora rassicurante come la promessa di appartenere al popolo di Dio. La gioia dei catecumeni è diventata la gioia di coloro che li hanno accompagnati e la gioia delle comunità cristiane che li hanno accolti».

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Ed è ai catecumeni, infatti, che si rivolge direttamente, subito dopo, l’Arcivescovo: «La vostra vita cambia non per un vestito che si indossa, ma per essere uomini e donne rinnovati della grazia: non tornate alla vita di prima. Celebriamo la Pasqua, il passaggio del Signore, non perché siamo perfetti, ma perché abbiamo bisogno di perdono e di riconciliazione; non perché siamo contenti di noi stessi e viviamo nella sicurezza adeguata per fare festa, annunciamo una gioia di cui non siamo padroni, ma la promessa che abbiamo ricevuto in dono. Decidiamoci a trasformare la nostra vita, a presentarci al Signore, a chiedere perdono, a cominciare un’esistenza rinnovata con la grazia del nostro battesimo. Una Pasqua che sia, per i catecumeni, «un passaggio all’appartenenza gioiosa e grata alla Chiesa»; per i fedeli tutti «un passaggio dalla mediocrità alla santità, dal peccato alla riconciliazione».

Veglia Pasquale 2023
L’Arcivescovo durante l’omelia

Una Pasqua di pace

Il messaggio per l’umanità intera non può che essere quello della pace, con una parola che, scandita più volte dall’Arcivescovo, risuona nel silenzio tra le navate. «Vorremmo che questo messaggio di pace raggiungesse tutti i Paesi della terra, soprattutto laddove sono in atto guerre dissennate che distruggono l’umanità e l’ambiente in cui viviamo. Ci sia nei popoli la pace: chiediamo che questa Pasqua segni un passaggio verso l’umanità riconciliata».  

E, così, gli ormai nove neofiti rivestiti della veste bianca – tra gli altri, due fratelli albanesi, due studenti della Cattolica, un italiano e una ragazza greca, un giovane nato a Taipei e un altro in Cina, divenuti tali con il conferimento del battesimo da parte dell’Arcivescovo presso il battistero carolino cinquecentesco, e poi con la confermazione e la prima comunione -, divengono il simbolo vivo di un domani nel quale risuona, concretissimo, il «Non abbiate paura» del Vangelo della Risurrezione.

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