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Lutto

Suor Luisella Musazzi: ha incarnato la Chiesa in uscita

Missionaria comboniana, già moderatrice della Consulta diocesana per la Chiesa dalle genti, è scomparsa il 23 giugno. La ricorda Simona Beretta, che le è subentrata nell'incarico alla Consulta

di Simona Beretta

23 Giugno 2023
Suor Luisella Musazzi

L’ultimo regalo suor Luisella me lo ha fatto due mesi fa quando già stava male, in una tregua concessale dalla malattia. A sorpresa, l’ho vista spuntare dalla porta della mia cucina insieme a don Mario, che avevo invitato a pranzo in uno dei giorni del ponte del 25 aprile. Si erano messi d’accordo per farmi una sorpresa e sono arrivati insieme, da Milano, in bicicletta.

Dalla porta è spuntato il suo turbante blu, come i suoi occhi: sorridenti, vivaci, con quel guizzo gioioso e complice, come di chi molto comprende, anche senza tante spiegazioni.

Ho conosciuto suor Luisella molti anni fa, grazie al fiuto da ‘umanità’ che aveva don Giancarlo: era appena rientrata dalla missione, dall’Ecuador, per prendersi cura della sua famiglia e anche di sé; per combattere quel male che dopo venti anni di battaglie, oggi ha avuto la meglio su di lei.

Don Giancarlo l’aveva coinvolta nell’animazione della sgangheratissima comunità africana. Una sfida pastorale di tutto rispetto e forse proprio per quello la accettò.

La ricordo in quei primi anni 2000, con la veste marroncina (ancora la portava, per poi liberarsene appena le è stato possibile) e un occhio livido, per via di un incidente in bicicletta sulle rotaie del tram.

La bicicletta… il suo mezzo per la libertà: ci andava a casa della gente, ci andava all’ospedale per le terapie, ci veniva in Curia. E nei mesi del Covid ci tornavamo insieme a casa, lungo corso Buenos Aires, e lei faceva a gara con me, per battere me, che avevo la bicicletta elettrica: mi diceva che il suo motore teneva a testa al mio.

Poi per lunghi anni non ci siamo più viste, fino a un incontro, qualche anno fa, per le scuole di italiano per stranieri: tanti c’è ne sono nel suo quartiere e lei, che per tanti motivi non poteva più andare in missione, era in missione con loro: il ragazzo srilnkese arrivato già grande con il sogno di fare lo chef, la ragazza che aiutava negli studi e proteggeva da un padre violento, la mamma africana con due bimbi piccoli a cui comprava i materiali scolastici e tanti, tanti altri.

In quell’incontro la rivedevo dopo una vita, ma la sensazione era che non ci fossimo mai allontanate. Affinità elettive si dice… Oppure la magnificenza di quelle persone che sono ‘di Dio’ e che quando le incontri senti di essere accolta, amata, importante ai loro occhi.

Per me Luisella era questo: capace di un’accoglienza autentica, di riconoscere in ciascuno la sua perfetta unicità, di sintonizzarsi con il bisogno e di svelare il limite, non per giudicare, mai per umiliare, solo per aiutare a crescere. Era gioia e autorevolezza, era risate e serietà, era parole misurate e sufficienti, era intuizioni geniali e umiltà, era competizione e abbraccio benedicente: era vera. Era una donna di Dio.

La prima donna al Consiglio Episcopale Milanese. Entrata in punta di piedi, ha lasciato un segno bello della visione femminile della Chiesa: non imposto, ma effuso, come un profumo. Come quel nardo che anche lei, ne sono sicura, avrebbe versato sui piedi del suo Signore, senza pensarci un momento.

La persona – una missionaria comboniana, che nutriva sempre il desiderio di partire, di incarnare la “Chiesa in uscita” – a cui, osando, fidandosi, la diocesi ha chiesto di accompagnare i primi passi di un cammino che oggi coinvolge centinaia di persone. Eccola la sua missione, la missione che Dio ha voluto per lei.

E poi, la consapevolezza di sé, del proprio limite. Il suo saper passare il testimone, capace di servire ben oltre un teorico spirito di servizio: umile, docile a un volere più grande e spesso umanamente incomprensibile.

Il suo scegliere di insegnare ad altri a scegliere, a discernere per il bene proprio e altrui: quante novizie, quante mamme, papà, famiglie in parrocchia, quanti giovani. E soprattutto ai suoi nipoti: prima i grandi e poi giù, giù fino alla piccola Giulia.

E ancora, durante il Covid, i pranzi insieme all’ufficio missionario in Curia, a condividere cibo e vita; gli incontri con le donne durante il Sinodo, a fare da osservatrici privilegiate di quel che si muove nel cuore di chi crede.

E il suo sapersi consegnare nel dolore, nella malattia. Il suo esserci, semplicemente esserci, che tanto basta a dire “per me sei importante e ci sarà sempre un posto speciale per te nel mio cuore”.

Suor Luisella si è riservata tante stanzette semplici e ospitali nel cuore di molti.

E ora, ne sono certa, è in paradiso: un enorme campo da basket, a fare a gara di canestri.

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Una donna autentica: il ricordo di Parolari e Vegezzi

«Suor Luisella è stata una donna autentica, che non si è mai risparmiata anche nella malattia, con una vera passione missionaria della quale ha beneficiato la Diocesi di Milano avendola avuta come moderatrice della Consulta diocesana per la Chiesa dalle genti». Così la ricorda don Enrico Parolari: «Dal 2000 al 2002 ha frequentato l'Istituto superiore per formatori, che chiedeva prima di tutto un serio lavoro su di sé. Ha esercitato il servizio di accompagnamento vocazionale sia nella formazione delle Comboniane sia nell'ambito del Centro per l'accompagnamento vocazionale (che ha sede a Milano) con diverse figure vocazionali. Affrontò in quegli anni il primo esordio della malattia a viso aperto con consapevolezza, fede e determinazione nonostante la paura».
Anche mons. Giuseppe Vegezzi, vescovo ausiliare, ricorda suor Musazzi: «Con Luisella ho condiviso la stessa esperienza dell’oratorio, che ci ha plasmati ed educati a donarci agli altri. La vedo ancora giocare a basket per centrare il canestro: oggi posso dire che di canestri ne ha centrati nella sua vita! Abbiamo condiviso la passione per la Parola di Dio che in quegli anni il Card. Martini diffondeva in tutta la Diocesi e Luisella ora ne provava spesso nostalgia. È l’amore per la Parola che diventa carne che gli ha dato la forza di essere una missionaria un po’ atipica. Un poco delusa perché non poteva partire per l’Africa si è reinventata il modo di essere missionaria lì dove la volontà del Padre la chiamava. Milano diventa la sua missione: e la sua bicicletta diventa l’icona del suo essere “chiesa in uscita”. Con la bicicletta girava il quartiere, andava a casa dalla gente che aveva bisogno del suo aiuto, andava all’ospedale a fare le terapie e veniva in Curia a lavorare. Non potendo andare in missione diventava lei missione con chi incontrava».