Sabato 2 ottobre, alle 16.30, a Rho (Mi), nell’Auditorium mons. Carlo Maggiolini, avrà luogo la presentazione del libro Quello che possiamo imparare in Africa. La salute come bene comune, di don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, scritto con Paolo di Paolo, edito da Laterza (160 pagine, 18 euro). Don Carraro dialogherà con Stefano Rusconi, direttore Uoc malattie infettive Asst Ovest Milanese. Modera la giornalista Anna Pozzi.
Nell’anno della pandemia che ha sconvolto le nostre vite, un appuntamento per rimettere al centro il valore della persona; della salute come bene comune e globale; l’importanza dell’accesso alle cure per tutti. Il racconto di un’avventura personale e collettiva, la storia e il presente dei 70 anni del Cuamm attraverso gli occhi e l’esperienza del suo direttore. La messa a fuoco di un modo di intendere la cooperazione sanitaria internazionale che ha al centro la “cura”: delle persone, dell’impiego delle risorse, dei risultati. Perché in Africa c’è tanto da fare, ma anche tanto da imparare.
Il libro
«L’Africa ci insegna, o almeno a me ha insegnato, che il lamento serve a poco; ciò che fa la differenza è passare dal lamento al rammendo – scrive Carraro -. E trovare strade nuove per dare valore a quanto ci sembrava perduto. Mi ha insegnato a mettere alla prova tutti gli schemi fissi, compreso un certo delirio di onnipotenza occidentale. Mi ha insegnato che la frugalità non è un limite, ma può diventare un’opportunità per far leva più sull’intelligenza e lo studio che sul denaro. E a non avere paura dei figli: sono vita, coraggio, sfida, futuro, entusiasmo».
Nella narrazione in prima persona, un ragazzo della provincia veneta, neolaureato in medicina nel 1983, comincia a interrogarsi su se stesso e nel 1991 sceglie di diventare sacerdote, impegnandosi nelle chiese di periferia, venendo a contatto con ambienti sociali difficili. Poi l’allora vescovo di Padova lo manda al Cuamm, lì incontra il fondatore Francesco Canova e il direttore don Luigi Mazzucato. Nel 1995, il suo primo viaggio in Africa nel Mozambico da poco uscito dalla guerra civile.
È l’inizio di un’avventura personale e collettiva, tutta interna alla più grande organizzazione italiana in Africa, che coinvolge soprattutto le fasce più deboli della popolazione – con programmi di cura e prevenzione, interventi di sviluppo delle strutture sanitarie, attività dedicate ai malati (HIV, tubercolosi, malaria), formazione di medici, infermieri, ostetriche e altre figure professionali – e che ha costruito presidi medici in 43 Paesi. Attualmente è presente in Angola, Etiopia, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Tanzania, Sierra Leone Sud Sudan e Uganda. «Una presenza stabile e strutturata – come scrive don Dante – in cui c’è molto da fare per formare medici e strutture autosufficienti ma c’è anche molto da imparare. Non solo sugli africani, ad esempio sul loro rapporto con la natura, ma anche su di noi occidentali, capaci di tirar fuori risorse inaspettate quando ci confrontiamo con realtà così estreme e lontane».
Aiutarli a casa loro? Sì certamente, dice Carraro, se comprendiamo che l’Africa non è quel monolite stereotipato che pensiamo ma una realtà molto diversificata. E se siamo in grado di uscire da una logica di emergenza per entrare in una di solidarietà nel tempo, nella consapevolezza di un destino comune.