«Siete autorizzati a chiedere dove sia il paese felice e avete la possibilità di ascoltare anche la risposta, se ascoltate Dio». Si rivolge così, l’Arcivescovo, alle migliaia di ragazzi che affollano il Duomo – dai più piccoli agli adolescenti, per arrivare ai giovani delle scuole professionali -, nella celebrazione eucaristica per gli studenti delle Scuole salesiane milanesi, in occasione della memoria liturgica di San Giovanni Bosco. In Cattedrale ci sono monsignor Paolo Martinelli (vescovo ausiliare e vicario episcopale per la Pastorale scolastica e l’Insegnamento della religione cattolica), monsignor Carlo Azzimonti (vicario episcopale per la Zona I), don Gian Battista Rota (responsabile del Servizio diocesano per la Pastorale scolastica) e, tra i concelebranti salesiani, don Franco Fontana, direttore dell’Istituto Sant’Ambrogio – Opera don Bosco” di Milano (che comprende scuole elementari, medie, liceo classico e scientifico tradizionale, liceo scientifico delle scienze applicate, istituto tecnico tecnologico e istituti professionali, per un totale di circa 2000 allievi). Senza dimenticare il Collegio Paolo VI per studenti universitari, altri Centri di formazione e la Scuola delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dalle materne a superiori e licei. In prima fila, in rappresentanza del sindaco Giuseppe Sala, siede l’assessore Roberta Cocco.
È don Fontana a portare il saluto a nome dei Salesiani e Salesiane presenti a Milano, degli studenti e dei 160, tra docenti e operatori, che condividono il carisma educativo di don Bosco: «Anche se il mondo giovanile sembra attirare l’attenzione solo per fatti di cronaca e sondaggi, la Chiesa ci consegna una visione dei giovani positiva e ricca di speranza. Vogliamo continuare a offrire alla Chiesa e alle Istituzioni di Milano il nostro impegno, che in città data dal 7 dicembre 1894, 125 anni fa. In ogni ragazzo c’è un punto accessibile al bene per cui lavorare con pazienza e con fiducia, come diceva don Bosco».
L’omelia dell’Arcivescovo è, a sua volta, un inno alla fiducia nei ragazzi: «Lo so che è proibito, però c’è gente che continua a porsi la domanda, sconveniente e proibita, che può rendere ridicoli o esporsi al disprezzo: come si fa per essere felici? Dove è il paese felice? Sono qui per dirvi che siete autorizzati a porre la domanda, non dovete vergognarvi di avere il desiderio di una felicità duratura e vera e siete autorizzati a una risposta».
La prima risposta è che il paese felice esiste: «È una promessa, non un’utopia. Promessa di Dio per quelli che ascoltano la sua voce. Non è un sogno che non esiste in nessun luogo», una realtà a cui rassegnarsi o da vivere con un’allegria consolatoria e superficiale. «Se volete una risposta, ascoltate Dio, imparate a pregare e a vivere un’amicizia profonda con Gesù. Il paese felice è l’impegno che Dio prende con noi». Poi una seconda indicazione. «Nel paese felice entrano quelli che arrivano per ultimi perché tengono il passo di coloro che non possono correre o spintonare. Quindi servite gli altri». Infine, «nel paese felice entrano persone trasfigurate, riempite della Grazia di Dio. Ho l’impressione che i ragazzi, soprattutto nell’età delle scuole medie e della giovinezza, non si piacciano, abbiano paura di non sapere affrontare la vita, si disprezzino, trovandosi brutti, cattivi, incapaci. Questa immagine che avete talvolta di voi stessi – l’Arcivescovo torna a parlare direttamente ai ragazzi -, non può essere superata con il trucco o l’apparenza. Dovete, invece, lasciarvi trasfigurare dalla Grazia di Dio, per rendervi conto di tutto il bene che avete dentro. Siete capaci di cose meravigliose, di entusiasmo, di fare il bene, se seguite Dio. La trasfigurazione vi rende cittadini che abitano il paese felice».
«Questa è l’opera educativa che abbiamo imparato da don Bosco. Vi lascio queste tre indicazioni: credere alla promessa di Dio; cercare di arrivare ultimi nel paese felice, perché siete servi di tutti; credere alla potenza trasfiguratrice di Dio che fa emergere il bene che c’è in voi. Il paese felice è la promessa del Signore, è servizio e trasfigurazione dell’umanità. Questa è la risposta».
Una risposta piena di gioia, che si fa palpabile nei canti tradizionali eseguiti dal Coro salesiano, nei doni portati all’altare, tra cui palloni colorati e matite, a indicare – oltre il pane e il vino della fede -, la crescita serena e condivisa nelle attività quotidiane (i famosi cortili di don Bosco, oratori dei suoi primi ragazzi) e nello studio.