L’epistolario di Federico Borromeo, arcivescovo di Milano dal 1595 al 1631, e la memoria di oggi, legata alla sua “creatura” voluta e amatissima, la Biblioteca Pinacoteca Ambrosiana, scrigno di cultura, arte e storia che fu attivissima fin dall’origine e che lo è ancora, a più di quattro secoli dalla sua nascita (1609). Tanto che il suo Dies Academicus generalis – avviene ogni 3 anni con la partecipazione di tutte le 8 Classi di Studi impegnate nell’approfondimento di discipline e tradizioni dei 4 continenti – è stato celebrato davanti a un pubblico folto di esperti, docenti e amici, con la presenza del patrono dell’Ambrosiana e Gran Cancelliere dell’Accademia, l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini.
Nella Sala delle Accademie intitolata a monsignor Enrico Galbiati, una serata attesa e molto significativa, aperta dal prefetto dell’Ambrosiana, monsignor Marco Navoni, e svoltasi con la partecipazione di tutti gli appartenenti al Collegio dei Dottori, del presidente del Collegio dei Conservatori Lorenzo Ornaghi, e di molti docenti, tra cui Cesare Alzati, insignito dell’Ordine della Santissima Trinità, ricevuta dalle mani del vescovo Cristian Dimitru Crişan, ausiliare dell’Arcieparchia di Alba-Iulia e Făgăraş della Chiesa greco-cattolica romena.
«Quando questa intenzione fu manifestata al nostro Arcivescovo decidemmo di sfruttare la solenne Due giorni del Dies generalis, che raccoglie tutte le Classi, per il conferimento dell’Ordine al professor Alzati, accademico fondatore delle Classi di Studi Santambrosiani e di Slavistica e membro di quella di Studi Borromaici», spiega monsignor Navoni introducendo il Vescovo romeno.
Gli interventi di monsignor Crişan e del professor Alzati
Crisan prende la parola anche a nome del cardinale Lucian Muresan, attuale arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica romena: «Lo scambio dei doni è il criterio ispiratore della Chiesa sinodale. Questa onorificenza non è solo un simbolo della nostra riconoscenza, ma un riconoscimento verso chi – il professore Alzati -, ama profondamente la Romania. Un amore che si riflette nella sua instancabile ricerca, divenendo un atto di affetto verso una comunità che ha sofferto tanto per sua fede. L’Ordine della Santissima Trinità è la nostra modesta risposta e il nostro grazie per aver saputo trasformare ogni studio in un dialogo palpitante con il passato e la vita della nostra Chiesa oggi. Esprimiamo la nostra gratitudine e ammirazione per un uomo che ha saputo portare prestigio e lustro alla nostra Chiesa e al nostro popolo».
Anche il premiato, già membro dell’Accademia romena, esprime «pubblicamente» i suoi sentimenti di gratitudine, ripercorrendo i legami di forte amicizia e di studio tra la Biblioteca Ambrosiana e la Chiesa unita romena, simboleggiati dalla presenza – nel “Cortile degli spiriti magni”, all’interno del complesso dell’Ambrosiana – della statua di Dimitre Cantemir, letterato, storico, filosofo, compositore, musicologo, linguista, etnografo e geografo romeno vissuto dal 1673 e il 1723. «Lo spazio romeno era ben presente, fin dall’inizio, nella prospettiva di Federico Borromeo», evidenzia ancora monsignor Crişan, che ricorda anche il martirio della Chiesa nel suo Paese sotto il regime comunista di Ceausescu e la beatificazione, il 2 giugno 2019, dei 7 Vescovi greco-cattolici martiri avvenuta durante il viaggio apostolico in Romania di papa Francesco.
Il Dies generalis
E se «tre anni fa il Dies generalis aveva avuto come argomento il progetto culturale di Federico Borromeo tra passato e presente – recentissimamente sono stati pubblicati gli Atti a cura del Collegio dei Dottori editi da Centro Ambrosiano -, nell’attuale Due giorni, alla dimensione temporale si sostituisce la dimensione spaziale, per l’importanza qualitativa dell’epistolario, degli interessi e rapporti internazionali del secondo Borromeo», spiega monsignor Navoni, introducendo Roberta Ferro, docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, e la sua prolusione dal titolo «Il grande epistolario di Federico Borromeo all’Ambrosiana. Teoria e prassi nel pensiero del fondatore».
L’epistolario di Federico
«L’epistolario del cardinal Federico non è immenso come quello del cugino san Carlo – osserva subito la studiosa -, ma è ricco di 30 mila lettere manoscritte, solo a stimare le missive ricevute e conservate in Ambrosiana (il numero raddoppia con le risposte inviate ai più diversi destinatari, peraltro, non facili da rinvenire) raccolte in 120 codici che, in ordine cronologico, coprono un periodo di tempo che va dal 1587 al 1626».
In tale contesto, quasi paradigmatica è una lettera in cui il Borromeo, dalla villa di Senago nel 1629, raccomanda al primo prefetto della Biblioteca, Antonio Olgiati «che si procuri lettere private o esemplari per il contenuto e la forma destinate all’uso librario», nella logica di incrementare i rapporti epistolari con gli studiosi di tutto il mondo. «Così i sapienti potranno palesarsi non come libri morti, ma vivi», coltivando amicizie e, laddove l’incontro diretto e concreto – sempre raccomandato – non sia possibile, si possano sviluppare dialoghi a distanza. Per questo l’epistolario federiciano «fu da subito considerato un giacimento documentario e non solo una reliquia del fondatore, la cui prospettiva erudita e sovranazionale non venne mai meno, come si rende evidente in lettere chiare e veloci, dalla sintassi secca, vissuta secondo una modalità relazionale. Conservare e studiare gli epistolari indica civiltà», osserva Ferro.
Non a caso, nel 1606, anno del primo abbozzo delle Costituzioni del Collegio e della Biblioteca, veniva già sancita la regola dello scambio epistolare che, messo in pratica dal Cardinale stesso, rende particolarmente interessanti alcuni suoi carteggi – ampiamente citati nella prolusione – come quello con il fiammingo Giusto Lipsio (uno degli intellettuali più famosi del tempo) o con il cardinale Agostino Valier, «quelli con i nipoti Giovanni e Federico – riuniti nel Domesticarum epistolarum liber unus, nel quale l’Arcivescovo di Milano utilizza le missive come strumento di educazione o la fittissima corrispondenza con le Claustrali, vergata in lingua volgare». Lettere – queste – che non raggiunsero la stampa, ma che, senza il nome delle destinatarie, Federico volle che fossero riunite in volumetti come istruzioni. «Così egli intendeva veicolare il suo carisma di confessore e di conoscitore delle pieghe dell’anima, lasciando una precisa immagine di sé: qui la prosa di Federico è sorprendentemente notevole». Senza dimenticare scritti come il De exercitatione et labore scribendi, il trattato che più compitamente rappresenta l’idea borromaica di scrittura.
Il ringraziamento dell’Arcivescovo
A conclusione, è l’Arcivescovo a ringraziare «per il pensiero e i tanti valori che sono stati accennati nella serata. Abbiamo respirato una dimensione europea, grazie al conferimento dell’onorificenza della Santissima Trinità a professor Alzati e alla visione che l’Ambrosiana eredita dal suo fondatore, con i collegamenti tra sapienti di diverse parti del mondo. Il mio augurio è che la cultura, ciò che qui viene coltivato, l’Accademia giovino proprio a questa condivisione di pensieri, di valori, di speranze per l’Europa. Viviamo un momento complicato da decifrare, a proposito sia della vicenda mondiale, sia di quella europea e io penso che uno dei compiti di questa Biblioteca – che fu anche una delle intenzioni di Federico con questa pluralità di interessi e di acquisti da tutte le parti del mondo -, sia che gli studiosi non rimangano chiusi in una torre d’avorio a scambiarsi distillati archeologici, ma piuttosto possano essere appassionati dell’umano. Portare alla luce questo umanesimo che ci unisce, è una promessa per il futuro dell’Europa e dell’umanità».
Infine, il ringraziamento va alla comunità romena «che ha conosciuto il martirio come via per accedere alla santità con una persecuzione che l’ha così duramente provata nella storia del secolo scorso e in tante altre vicende». «Questo fa pensare, ci chiede di esprimere la nostra solidarietà a tutti i cristiani perseguitati e di interrogarci sul perché la Chiesa, con il bene che fa, con la sua storia così ricca di un patrimonio straordinario, sia antipatica, considerata pericolosa, circondata da sospetto e da disprezzo. Forse un’istituzione come l’Ambrosiana ha il compito di ripetere la simpatia che i cristiani hanno verso l’umanità. Anche da perseguitati, come persone circondate da indifferenza, vogliamo esprimere tale simpatia perché la storia che la Chiesa ha scritto possa essere di riconciliazione per l’umanità».
Già deciso anche il titolo del prossimo Dies generalis 2027 – avviandosi verso l’anniversario, nel 2030, dei mille anni della fondazione della Chiesa del Santo Sepolcro e, nel 2031, dei 4 secoli dalla morte di Federico: «Un vicendevole commercio di lettere. L’Ambrosiana luogo di cultura e di dialogo».