La missione che può non essere necessariamente quella ad gentes, ma che diventa una sorta di «stile di vita complessivo», da sperimentare ogni giorno e in ogni ambito esistenziale, secondo la fede autentica e consapevole che la Chiesa «o è missionaria o non è».
Alcuni dei vari interventi, discorsi e omelie che l’Arcivescovo ha tenuto recentemente possono essere letti in questa ottica, peraltro ampiamente approfondita nella Proposta pastorale La situazione è occasione e, nello specifico, nella prima Lettera per il mese missionario speciale, «Purché il Vangelo venga annunciato». Una missione che rende testimoni, autorizza a pensare e che costruisce ponti nella Chiesa dalle genti, offrendo il proprio contributo per una società più equa nella quale i «cristiani hanno molto da dire e da dare».
Un annuncio – questo – che implica una precisa responsabilità, qualificandosi anche come impresa culturale, «in un contesto oggi segnato dal sospetto e dal pregiudizio che i cattolici abbiano interessi che non dichiarano, che la proposta di vita della comunità cristiana mortifichi l’umano invece di esaltarlo, comprima la libertà invece di promuoverla», secondo quanto ha sottolineato l’Arcivescovo aprendo il mese missionario al Pime.
Missione, quindi, in senso ampio, capace di dare risposta anche alla globalizzazione, ritenuta «un’impresa, un’operazione, una situazione di carattere economico e culturale, che tende a livellare il mondo in una sorta di omogeneità uniforme. La missione, che pure ha orizzonti universali, invece, suggerisce di valorizzare le culture locali, di non spegnerle costringendole alla omogeneizzazione. Il mondo non può diventare un grande mercato in cui le persone che abitano la terra si chiamano consumatori». Da qui il “filo rosso” che annoda, appunto, ogni esperienza: «Poiché anche qui, nelle nostre strade e nei nostri condomini, ci sono persone che non hanno mai sentito parlare di Gesù, o ne hanno una visione molto distorta, penso che sia compito dei cristiani essere missionari in qualunque situazione, in qualunque ambiente».
Ma tutto questo è possibile solo se si è cristiani «credibili», perché armati di una fede vera, non «magica, ispirata dalla paura e non pagana, motivata dalla presunzione che interpreta anche l’alleanza con Dio come un contratto per cui le buone opere sono quello che il popolo deve offrire, il successo negli affari o nelle guerre, il premio eterno sono quello che Dio è in dovere di procurare» (intervento all’Università Cattolica al convegno apostolico dell’Opera Don Orione).
E ha senso, allora, porre in questa logica anche una frase del bellissimo intervento pronunciato all’Università Bocconi sul tema del rapporto tra etica ed economia: «La gestione dell’economia, delle imprese, della finanza è disposta ad ascoltare anche domande che “vengono da fuori”? E le persone e i popoli, che sono “fuori”, possono fare domande, possono chiedere conto? I poveri dove possono parlare? E da chi sono ascoltati? Il mio auspicio è che ci rendiamo conto che siamo liberi e che la qualità della vita, della società e del pianeta dipende anche da noi, anzi da noi dipende farci carico di un percorso che metta mano all’impresa di aggiustare il mondo».