La Grangia di Monluè compie 30 anni. Era il 1986 quando il primo ospite straniero venne accolto nella casa di accoglienza, in zona Forlanini, gestita dalle suore di Maria Bambina e da operatori qualificati. Oggi collaborano anche una cinquantina di volontari. Realtà molto radicata nel quartiere che ha voluto il cardinale Martini come frutto del Convegno ecclesiale «Farsi prossimo» ad Assago. Ad avviarla allora fu don Antonio Giovannini, oggi il presidente dell’associazione è don Marco Bove.
Ultimi preparativi per la grande festa di compleanno il 14 e 15 maggio in Cascina (via Monluè 87, Milano): alle 17.30 ritrovo, alle 18 corsa non competitiva, alle 19 premiazioni e rinfresco. Domenica, alle 10.30 Messa in San Lorenzo di Monluè; alle 12.30 pranzo etnico su prenotazione (contributo 15 euro gli adulti, 10 i bambini); alle 14.30, giochi per i piccoli e musica dal vivo; alle 17, estrazione dei biglietti della lotteria. Nei due giorni saranno esposti in Cascina una mostra sui 30 anni della Grangia, stand sui Paesi d’origine degli ospiti, vendita di gadget e merchandising, punto-ristoro.
Dal 1986 al dicembre 2015 a La Grangia sono state accolte 1.500 persone. I primi ospiti erano migranti in difficoltà arrivati nel nostro Paese con permesso di soggiorno per motivi di studio, lavoro, ricongiungimento familiare o altro. «Allora bastava poco e gli ospiti passavano facilmente all’autonomia – ammette l’educatrice Eleonora Farinelli -, oggi invece la situazione lavorativa è molto più complessa e difficile per tutti». Gli immigrati all’inizio giungevano soprattutto dal Maghreb, Europa dell’Est e Balcani, Afghanistan e Pakistan; ora i profughi arrivano dall’Africa sub-sahariana (47%), Medio Oriente (7%), Africa del Sud (3%), America del Sud (2%) e America centrale e del Nord (1%).
Oggi la casa dispone di 23 posti-letto per uomini maggiorenni: 18 sono riservati allo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), 5 sono messi a disposizione per segnalazioni dal territorio (Servizio accoglienza immigrati di Caritas ambrosiana, Casa della carità o altre realtà del privato sociale).
«Il regalo più grande che possiamo fare ai nostri ospiti è trovargli un lavoro – esordisce la coordinatrice Paola Spagni -. Hanno tutti la voglia disperata di lavorare e di rendersi autonomi dalle accoglienze pubbliche o del privato sociale. Sui media passa spesso l’immagine dell’immigrato che aspetta, che vive in albergo, ma non è questa la realtà». Quando lasciano i loro Paesi e rischiano la vita per arrivare in Italia hanno motivi molto validi per farlo o sono costretti da guerre, fame, persecuzioni… Il percorso di inserimento e riscatto per loro può essere anche molto lungo e quando sono qui non si risparmiano, si adeguano a ogni tipo di mansione, con turni di lavoro pesanti e paghe ingiuste, ma quel poco che guadagnano lo spediscono a casa.
Per la maggior parte gli ospiti sono singles, ma ci sono anche mariti e papà, che di solito mantengono i contatti con la famiglia. Soffrono molto per la distanza e sanno che senza lavoro il ricongiungimento è difficile, per non dire impossibile. Spesso vivono un dramma interiore e il peso di dover giustificare i loro fallimenti, dovuti al fatto che quando sono partiti si aspettavano una condizione ben diversa. In certi casi ammettono che avrebbero fatto altri progetti.
Info: tel. 02.70102929, www.lagrangiadimonlue.org