Il cibo dell’anima e quello del corpo, l’arte, la bellezza, la cultura e il farsi prossimo offrendo un pranzo. C’è tutto questo nella mattinata piena di sole e di luce – in tutti i sensi – che oltre un centinaio di persone in grave difficoltà vive, varcando la soglia della Biblioteca Pinacoteca Ambrosiana, una delle più importanti istituzioni culturali italiane, aperta al pubblico dal cardinale Federico Borromeo nel 1609 e famosa in tutto il mondo.
Uno scrigno di tesori tra manoscritti, capolavori dei più grandi pittori e codici rarissimi, le cui sale vengono visitate, a gruppi – e, a conclusione, anche con la presenza dell’Arcivescovo – dagli ospiti dei servizi di Caritas Ambrosiana (Sam, Centro diurno Bassanini – La Piazzetta, Rifugio di via Sammartini, Refettorio Ambrosiano e il Giornale di strada Scarp de’ Tenis), della Fondazione Casa della Carità – Angelo Abriani e dell’Opera Cardinal Ferrari. Una proposta che si ripete per la seconda volta, con ancora maggior successo dell’anno passato, e che fa dire a Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana e presidente dell’Opera Cardinal Ferrari, e a don Paolo Selmi, vicedirettore di Caritas e presidente della Casa della Carità, che seguono l’intera visita, tutta la soddisfazione per un’iniziativa che coniuga al meglio una carità concreta che non può che essere sempre anche carità culturale.
Una visita molto apprezzata
«La prima visita, un anno fa, fu molto partecipata e mi pare che questa seconda sia stata ancora più apprezzata – spiega infatti Gualzetti -. Conosciamo bene tante persone che, per mille motivi, vivono ai margini della società: non sono portatori solo di bisogni materiali, ma anche di desideri, aspirazioni e valori che hanno a che fare con la conoscenza e con lo spirito. Tramite le nostre attività cerchiamo di operare per lo sviluppo integrale di ciascuno di loro e, insieme, per lo sviluppo integrale della comunità. Sono cittadini cui va anzitutto garantito il godimento dei diritti elementari, e che possono contribuire in modo significativo alla vita intellettuale e culturale della città».
A vederli, questi visitatori un po’ speciali, si capisce bene che l’interesse c’è anche se, come dice qualcuno a mezza voce, «io non me ne intendo, purtroppo non ho mai studiato». Insomma, le prolungate soste, per esempio, presso la Canestra del Caravaggio o le magnifiche Natività rinascimentali e le continue foto raccontano tanto. Così come la curiosità quando le guide che li accompagnano si fermano davanti alle vetrine che conservano i biondi capelli di Lucrezia Borgia o i guanti da battaglia di Napoleone.
«Che bel museo!», esclama Domenico, 74 anni, un passato da elettrificatore di precisione, che alla Cardinal Ferrari è stato ospite e ora si «adopera per molti lavori», come dice: «Io non so tanto, ma quando vedo le cose belle le capisco. Ho girato il mondo, ma nei musei non entravo, però qui si sta proprio bene».
Un’esperienza condivisa e confermata da Daniele Leccia, giovane guida di “Ad Artem”: «L’interesse e anche la presenza fisica del semicerchio di persone intorno a me per ascoltare le spiegazioni sono stati evidenti. Ci sono state domande, richieste di approfondimenti: la connessione tra l’arte e la storia delle opere è stata molto produttiva». Specialmente nell’ultima tappa del tour, la Sala Federiciana con i fogli originali del Codice Atlantico di Leonardo, ammirati come non mai, mentre alcuni piccoli con i cappellini di Natale facevano lo slalom tra i loro genitori e l’Arcivescovo. Che, poco dopo, nella sottostante grande Sala del Foro Romano, ha impartito la benedizione con il centinaio di ospiti seduti a tavola. Accanto a monsignor Delpini a tavola anche il prefetto dell’Ambrosiana, monsignor Marco Navoni, il viceprefetto monsignor Francesco Braschi, il vicario generale monsignor Franco Agnesi e il vicario episcopale di Settore e presidente della Fondazione Caritas monsignor Luca Bressan.
«Abbiamo bisogno di stare insieme»
«Abbiamo ammirato i capolavori dell’Ambrosiana insieme, perché siamo persuasi che la grande povertà è la solitudine e che si può uscire dalla povertà solo insieme: Perciò invoco la benedizione del Signore perché questo sedere a tavola, visitare la Pinacoteca e le tante cose che ognuno di noi fa, siano per stringere relazioni. Abbiamo bisogno di nutrire il corpo e anche l’anima, ma l’importante è essere insieme a condividere le ricchezze del cuore, della mente e anche della tavola. Invoco la benedizione del Signore perché noi ci si senta dentro una comunità».
«La finalità di iniziative di questo genere, a cui abbiamo aderito subito dall’anno scorso, è, appunto, fare festa nutrendo il corpo, come è giusto, ma anche lo spirito, accostandosi all’arte e alla cultura», ha sottolineato da parte sua monsignor Navoni, con parole non molto diverse da quelle di una risposta dell’Arcivescovo, a margine, con i cronisti. A tema, il rapporto tra carità e cultura peculiare del sistema Caritas, nella logica del «farsi prossimo» che portò il cardinale Martini a voler avviare la Casa della Carità e che ispirò anche il cardinale Ferrari nel chiamare “i Carissimi” gli ospiti dell’Opera che da lui prende nome: «La tradizione di Caritas non è mai stata solo quella di distribuire pacchi-viveri, ma di incoraggiare le persone a darsi da fare, ad affrontare le situazioni, non come qualcosa da subire, ma come una provocazione a fare passi avanti. Questo aspetto riabilitativo della carità fa parte di Caritas, come si esprime anche in questo momento in modo particolarmente significativo. Lo stupore provato davanti alle opere dell’Ambrosiana può essere il principio per avviare domande, cercare un futuro e un oltre, un luogo per realizzare se stessi».