Mai avrei immaginato che rivedere a distanza di dieci anni le immagini dell’incontro di Benedetto XVI con i cresimandi della Diocesi sarebbe stato emozionante al pari del giorno in cui l’ho vissuto. Il senno del poi conferisce sempre una rinnovata capacità di comprensione degli eventi.
Oggi guardo così a quel giorno, a partire dal termine della vita terrena di papa Benedetto e anche alla luce di tutto quello che è stata la sua esistenza da lì in avanti. Così mi pare di vedere oggi gli eventi di quel giorno con una luce nuova e più intensa.
Mi sembra di poter intuire almeno un po’ ciò che il Papa aveva nel cuore. Anzitutto riconosco in maniera più nitida il suo amore per la Chiesa, pesantemente segnato dalla prova della fatica fisica e dal dolore dei peccati degli uomini, ma mai venuto meno.
Capace di portare tutto il peso delle fatiche della Chiesa
Ora, dopo dieci anni, nel giorno della sua morte, mi sembra di comprendere meglio la grandezza di un Papa spesso incompreso eppure profondamente capace di comprendere, che prima di essere affaticato è stato capace di portare tutto il peso delle fatiche della Chiesa. Oso pensare, avvalorato da una mail che mi arrivò proprio il pomeriggio dell’incontro del 2 giugno 2012 dall’allora capo ufficio della Segreteria di Stato vaticana mons. Giampiero Gloder, che in quell’occasione, almeno per qualche ora siamo riusciti a fare felice il Papa, facendolo sentire stretto dall’abbraccio di uno stadio festoso e stracolmo.
Puntare sull’essenziale
In quell’occasione papa Benedetto parlò ai cresimandi dei doni dello Spirito proprio come un abile catechista, in modo preciso e sintetico, pregnante e avvincente. Lo stile fu quello che caratterizzò tutto il suo pontificato ovvero quello di puntare sull’essenziale. Niente di più, ma neppure niente di meno dell’essenziale.
Oggi lo ricordiamo così, come uomo dell’essenziale, capace di riportarci in continuazione a quell’essenza che rappresenta la realtà più profonda della realtà.