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La fede “rocciosa” del Beato cardinal Ferrari

Arcivescovo di Milano in tempi complessi, poggiò su incrollabili convinzioni la sua azione pastorale, aperta ai laici, ai giovani, alle donne e a iniziative come la nascita dell’Università Cattolica

di monsignor Ennio APECITIResponsabile del Servizio diocesano Cause dei Santi

24 Gennaio 2021
Il cardinal Andrea Carlo Ferrari

Quando si diffuse la notizia che Andrea Ferrari sarebbe stato nominato arcivescovo di Milano, un giornale milanese, Sera, scrisse: «Mons. Ferrari appartiene alla più terribile categoria di preti, quella dei preti convinti. […] Egli sa che con la dolcezza si ammansiscono anche le tigri, e quindi è dolce; sa che con la tenacia si perforano anche i monti, e quindi è tenace. Ma non si tradisce mai, ma non dimentica mai lo scopo a cui mira».

Ferrari sapeva bene che la situazione ecclesiale – italiana e ambrosiana – non era facile. Glielo ricordava – tra l’altro – il fatto che le autorità civili, accampando pretestuose misure di igiene pubblica, proibirono che il suo predecessore, il mite arcivescovo Luigi Nazari di Calabiana, fosse sepolto nel Duomo, come di consuetudine: fu sepolto nel piccolo cimitero di Groppello d’Adda. Glielo ricordava in quegli stessi anni la provocazione del Gran Maestro della Massoneria, Adriano Lemmi, che, saputo di timidi tentativi di conciliazione con la Santa Sede, ammonì Francesco Crispi che il suo movimento, duramente ostile alla Chiesa, controllava trecento dei cinquecento deputati.

Sapeva, ma non si scoraggiò. Era animato da una rocciosa speranza cristiana, come disse il 23 aprile 1895 al Congresso organizzato a Bologna dai Salesiani di don Bosco: «Di chi sarà l’avvenire? I nostri avversari hanno detto che l’avvenire è della scienza, del progresso, della luce, dell’umanità, della fratellanza. Sì, l’avvenire è di quella scienza che parte da Dio. L’avvenire è per il progresso dell’umanità, quello che tende verso il proprio miglioramento, non già verso la propria rovina. L’avvenire è della vera fratellanza dei popoli, che per esistere ha bisogno della fede. L’avvenire è della luce vera che irradia da Dio, dalla Religione».

Tanta speranza si fondava sulla sua fede rocciosa, come scrisse nella sua prima Lettera pastorale: «Si affermi e si riconosca il regno di Gesù nella santa sua Chiesa. L’Eucaristia è il cuore della Chiesa; è la vita sua intima […] Quella fede, dunque e quello stesso amore che si deve a Gesù Eucaristia, si deve pure alla sua Sposa, la Chiesa».

Queste furono, dunque, le colonne sulle quali il cardinale Ferrari poggiò la sua azione pastorale, quelle che propose a tutto il Popolo di Dio. Sollecitò dapprima i preti, come era costume allora, quasi sferzandoli a un impegno senza risparmio: «Conviene persuaderci che è assolutamente necessario uscir fuori dalle nostre case; poiché tocca al pastore cercare le pecore e chi vuol fare più abbondante pesca non sta in casa, ma va al mare (Mt 17) e non rimane presso la spiaggia ma spinge la barca al largo (Lc 5)».

La stessa profetica intuizione ebbe nel coinvolgere in ogni modo i laici, e in particolare i giovani. Penso all’impulso che diede alla pastorale giovanile con il suo slogan – «Un Oratorio in ogni parrocchia» – e volle che essi fossero animati dai laici, dai genitori soprattutto. Penso alla cura dell’impegno dei giovani e per questo – per esempio – trasferì nel Palazzo arcivescovile gli incontri dell’associazione “Santo Stanislao”, perché vi potessero partecipare non solo i giovani della parrocchia di Sant’Ambrogio, ma quanti volessero da tutti i quartieri della città.

Un’animazione che travolse anche il mondo femminile, coinvolgendo quel genio di animazione che fu Armida Barelli, la quale diffuse la Gioventù Femminile di Azione Cattolica in tutta l’Italia. Alla tenace volontà di ambedue, Ferrari e Barelli, dobbiamo poi l’essere riusciti a fondare l’Università Cattolica, luogo di dialogo e di confronto, ove si sarebbero formati cristiani convinti e dottori competenti: «La fede – diceva il Beato Cardinale – ha bisogno d’istruzione e questa istruzione ha da farsi con la parola di Cristo; la fede teme soprattutto l’ignoranza, perché chi la ignora non può amarla, né praticarla».

Splendido, dunque, quanto scrisse alla sua morte il Corriere della Sera: «Questo sacerdote che non potremo ricordare senza ammirazione. Davanti a uno spirito così alto, a una religione così austera e intemerata e virile non ci può essere uomo, che non veneri quel suo monito supremo che bisogna credere nelle cose alte, e per esse vivere, e per esse morire».

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