«La legge mi sembra valorizzare il contesto vitale della persona con disabilità come risorsa, innanzitutto quello familiare. Anche questa è una modalità per affermare la famiglia come soggetto. L’intervento di sostegno avviene già nel tempo “durante noi”, mentre la famiglia è ancora pienamente presente, per poi poter continuare la presa in carico anche nel momento in cui i genitori non fossero più in grado di garantire il contesto familiare, favorendo così percorsi di continuità». È la riflessione di monsignor Paolo Martinelli, vescovo ausiliare della Diocesi, sulla nuova legge approvata nei giorni scorsi, che prevede l’assistenza alle persone con grave disabilità. Un traguardo molto importante, atteso da tanto tempo, proprio per dare certezza di un futuro dignitoso anche quando non ci saranno più i propri cari accanto.
Con questa approvazione si sono riaccesi i riflettori su una realtà troppo spesso dimenticata. Ma non dalla Chiesa. «C’è un cammino interessante da parte della comunità ecclesiale nei confronti delle persone diversamente abili – afferma monsignor Martinelli -: dalla assistenza in toto alla persona gravemente colpita da disabilità e sostituzione della famiglia (assente o incapace di farsi carico della situazione), a una visione più personalista, riconoscendo la persona nel suo valore proprio come bene in se stessa, da promuovere comunque in tutte le sue potenzialità, considerata e apprezzata nelle sue relazioni fondamentali, a partire dalla famiglia».
Questo approccio ha portato anche a innovazioni in concreto: «Infatti – risponde il Vescovo – questo ha comportato ad esempio la riconversione di istituti e centri, permettendo il reinserimento in famiglia quando possibile, garantendo il sostegno fondamentale; il potenziamento dei servizi diurni, in cui la persona si reca negli istituti e nei centri durante la giornata per il trattamento terapeutico o per scuola e lavoro. In tal modo la persona diversamente abile rimane radicata nelle sue relazioni familiari e trova nei centri un sostegno decisivo».
Se istituti e centri sono importantissimi, non mancano anche altre esperienze, che ripropongono una dimensione familiare. «Altra trasformazione – sottolinea Martinelli – è stata quella di potenziare le strutture familiari (casa famiglia), in cui le persone portatrici di disabilità vengono stimolate a impiegare al massimo la propria capacità di autonomia, creando nuclei familiari con supporto di personale specializzato a stimolare tali potenzialità. Per cui le persone tendono a una vita comune autogestita con altri disabili, che si avvicina a una convivenza familiare comune. Per esempio, all’Istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone questo tentativo va sotto il nome di “Villette”».
In prima linea è sempre più anche la comunità cristiana a livello locale. «Altro settore importantissimo cresciuto in questi ultimi anni è l’integrazione delle persone diversamente abili nella comunità cristiana a vari livelli, favorendo la loro effettiva partecipazione – racconta Martinelli -. Questo livello implica attenzioni molto concrete e pratiche, ad esempio abbattendo tutte le barriere architettoniche per favorire la possibilità di recarsi autonomamente nei luoghi di culto, nelle parrocchie e negli oratori, partecipando alle attività come soggetto».
Non ultimo, per importanza, il coinvolgimento nelle celebrazioni e nell’attività di formazione. «Altro segnale importante – conclude Martinelli – è l’attenzione liturgica e catechetica verso coloro che sono portatori di disabilità psichica e psicofisica. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di realizzare per loro percorsi appropriati di iniziazione cristiana, con pieno accesso ai sacramenti: non solo Battesimo, ma anche Eucaristia e Cresima».