Un bel momento di festa e condivisione, seppure sotto la pioggia battente, riunisce nel Cortile d’onore dell’Università Cattolica tanti studenti di fedi diverse, cristiani e musulmani. Il clima è sereno: tra canti, preghiere e silenzio, si intrecciano sorrisi e dialoghi, si parla e si ascolta. Anche la data in cui, per il secondo anno consecutivo, avviene l’incontro è significativa: il 25 marzo, memoria liturgica dell’Annunciazione. «È un modo per sottolineare e richiamare ciò che ci unisce» – dice al proposito Paolo Branca, docente di Lingua e Letteratura islamica della Cattolica e responsabile per i rapporti con l’Islam del Servizio Ecumenismo e Dialogo della Diocesi -. Non dimentichiamo che il 25 marzo è festa nazionale in Libano e che anche in Egitto si onora la Vergine: i luoghi che parlano della Madonna sono storicamente e ampiamente venerati non solo dai cristiani, ma anche dai musulmani egiziani. Queste sono le “belle notizie” che non si trovano sui giornali e che, invece, fanno sperare in un futuro di pace e di comprensione reciproca, una “boccata d’aria” che fa bene a tutti».
Così anche la micromostra di immagini sacre care alla pietà popolare, intitolata «Gabriele visita la Vergine Maria madre del Messia», è un modo per trovare spunti di conoscenza. Monsignor Luca Bressan, vicario episcopale e presidente della Commissione per l’Ecumenismo e il Dialogo, concludendo l’evento con una breve riflessione, è chiaro: «Il rischio è che il termine “religione” venga associato all’idea di una lotta degli uni contro gli altri, mentre la ricerca di Dio è solo trovare e sperimentare cammini di pace. Traendo spunto ognuno dalla propria storia – senza la quale non vi è verità – è importante tracciare itinerari di confronto».
Proprio nelle ore in cui arriva la notizia che un giovane – più o meno coetaneo di quelli che partecipano all’appuntamento in Cattolica – è stato arrestato come facente parte di una presunta cellula di reclutamento Isis in Italia, il pensiero non può che andare alla responsabilità comune: «Si è sempre perdenti, se si usa la religione per dare voce sterile alla rabbia che, magari, un ragazzo porta nel cuore. Occorre chiarire una volta per tutte che l’esperienza di un Dio che ama e del quale posso fidarmi, è liberante e non crea “catene” per nessuno».
Convinto che solo dall’esperienza concreta possa passare il futuro del dialogo è anche Wael Farouq, cairota, professore di arabo in Cattolica e membro dell’associazione Swap – Share with all People -, già promotrice l’anno corso di una bella rassegna dedicata ai giovani nelle cosiddette “Primavere arabe”, che introduce la serata: «Siamo qui per testimoniare un’esperienza nata da un incontro. Io non credo a un dialogo astratto tra le religioni. Non sono la Bibbia e il Corano che si “parlano”, non le teologie, ma sono le persone che mettono in gioco la loro vita quotidiana e, quindi, riconoscono i punti di contatto che uniscono. La figura della Vergine Maria, per esempio, ci può permettere di andare all’di là di stereotipi, sulle nostre rispettive fedi. Il fatto che tutto questo non faccia notizia è un problema e bisogna lavorare in questo senso. Dico sempre che non c’è, oggi, più male nel mondo che un tempo: semplicemente lo si sa maggiormente. Eppure c’è anche tanto bene, che non ha testimoni. Basti dire che migliaia di giovani egiziani, per la maggior parte uomini e musulmani, hanno scelto una donna cristiana come presidente del loro partito».