I tantissimi universitari che, seduti fin sui gradini dell’aula magna della Bocconi, accolgono l’Arcivescovo, hanno domande da porre, esperienze da proporre e il chiaro desiderio di far parte di questa Europa come giovani e cristiani. Il tema dell’incontro-dibattito – che si svolge alla presenza di Mario Monti, presidente dell’Università e già presidente del Consiglio – è appunto la costruzione europea, su cui lo stesso Monti, pochi giorni fa, si è confrontato con gli universitari.
Il rettore Gianmario Verona fa riferimento «allo splendido discorso di Sant’Ambrogio dell’Arcivescovo», che definisce «una boccata di aria fresca». Ci sono il vicario episcopale di settore don Mario Antonelli, don Marco Cianci, responsabile della Sezione Università del Servizio Giovani e segretario della Consulta diocesana per la Pastorale universitaria, e il cappellano della Rettoria San Ferdinando don Giovanbattista Biffi, che introduce la serata.
Il dialogo tra l’Arcivescovo e gli universitari
«La centralità di Milano e della regione vale anche per la Chiesa – esordisce l’Arcivescovo -. La Lombardia deve essere il cuore credente dell’Europa, come disse papa Benedetto XVI ricevendo i Vescovi lombardi. Non siamo illusi o sognatori, sapendo che l’apertura agli altri è componente essenziale di uno spirito formato dal Cristianesimo. Rientra nella nostra vocazione far crescere il senso dell’universale».
Il pensiero va alla battaglia delle Termopili, che oppose una coalizione di città greche ai Persiani di Serse: «I Greci combatterono per la loro libertà e, per questo, pur molto inferiori numericamente, seppero resistere». Da qui e dai simboli della bandiera dell’Europa – azzurra con 12 stelle che ricordano Maria (forse ideata presso Villa Cagnola di Gazzada) -, nasce una prima suggestione. «Non so se sia l’interpretazione giusta, ma mi piace pensare che ci sia una protezione che viene dall’alto».
Poi le domande. Lorenzo, 23 anni, studente di Storia alla Statale, parla della frammentazione nella società e nei rapporti personali acuita a livello politico. Luca, che studia Giurisprudenza alla Bicocca, e Benedetta che frequenta Lettere moderne alla Statale, si chiedono quali siano i valori che uniscono l’Europa e se siano ancora attuali. E, ancora, con studenti del Politecnico e della Bocconi tornano i temi della condivisione e della necessità delle Scuole di formazione socio-politica, che in Diocesi di Milano esistono da 30 anni, ma che secondo il Vescovo «andrebbero estese e rafforzate». Le sue risposte sono precedute da una premessa che è cifra del suo modo di vedere il presente, così come è emerso anche nel Discorso di Sant’Ambrogio e in molte altre occasioni.
«Le lettura della storia recente, come involuzione e declino, e del nostro tempo come decadenza, mi fa sentire un poco a disagio, perché lo ritengo un luogo comune – con delle giustificazioni, certo -, ricordando che 200 anni fa c’erano centinaia di migliaia di giovani europei che portavano via tutto quello che potevano da Paesi colonizzati dove si recavano, e che i nostri bisnonni, durante Prima guerra mondiale, erano giovani che ardevano dal desiderio di andare in guerra. Voi invece viaggiate e fate l’Erasmus. Preferirei che parlaste bene di voi, perché siete bravi. Dobbiamo avere un senso della storia che ci renda la stima in noi stessi. Siamo qui per dire che vogliamo fare unità con valori comuni importanti». Ma come trovarla, l’unità? «Non c’è une “ricetta”, ma penso che quello che ci distingue dagli asiatici (di ieri e di oggi) è che siamo liberi e abbiamo un’intraprendenza. Andremo a votare per l’Europa e i nostri voti contano. L’unità la potremo ritrovare solo dal basso, da cittadini intraprendenti e liberi».
E come sarà Europa tra cinquant’anni, per riprendere una domanda dei giovani? «Lo dovete dire voi, cittadini europei dei prossimi decenni». Dove sono finite le radici cristiane, quelle «che si intrecciano con le radici ebraiche e con gli apporti delle popolazioni barbare, con il monachesimo nel Medioevo»? «Intanto ci sono e germogliano in molte parti. Forse non è ancora la grande primavera e gli alberi possono sembrare morti, ma le radici producono frutto. Ho fiducia che le radici europee, che sono anche cristiane, siano vive e che, con la nostra libertà, noi possiamo coltivarle. Il Papa parla della dignità della persona e della comunità. Queste sono due radici fondamentali, tanto che il primo nome dell’Europa unita fu “Comunità Europea”». Forse non è un caso che i grandi Padri fondatori – Adenauer, Schuman e De Gasperi -, siano stati cristiani praticanti, suggerisce l’Arcivescovo, che sulla condivisione sottolinea: «Dovunque io vada trovo forme commoventi di condivisione. Forse dobbiamo imparare a leggere con più benevolenza il tanto bene che si fa e quello che possiamo fare noi. Vi invito alla fiducia e a coinvolgervi».
Arriva un secondo giro di domande. Tra gli altri parla Giovanna, studentessa alla Bocconi, originaria della Polonia e cresciuta in Inghilterra. Si affrontano le questioni dell’esperienza Erasmus, dei cattolici in politica e ancora dei valori ispirativi di esperienze capaci di essere condivise.
«I cristiani sono convinti di non essere incaricati di proporre un’ideologia o un programma politico determinato, ma sono certi che il cristianesimo porta a pienezza l’umano – puntualizza l’Arcivescovo -. La Chiesa dice, per esempio, che occorre studiare l’’economia come gestione virtuosa delle risorse per fare il bene di tutti. Non c’è un’economia cristiana, ma il Cristianesimo insegna un’economia, così come altre scienze, che sia al servizio dell’uomo. L’ambizione non è fare proselitismo, ma aggregare il più possibile, per dire che esistono un bene, una politica, un’economia che fanno bene a tutti. Interrogarsi su quale economia sia giusto studiare è promettente». «La libertà è quell’arte per cui il tempo diventa un’occasione per scegliere il bene – prosegue -. La libertà trasforma un’opportunità in una scelta per amare e decidersi a fare il bene. Questa è la possibilità di dare un’anima all’Europa. Le difficoltà sono moltissime, ma anche le condizioni favorevoli: questa è una responsabilità. La nostra forza è di essere convinti di un’idea: evolendosi bene, avendo voglia di fare, si può cambiare la storia».
L’intervento conclusivo di Monti
Infine è il presidente Monti a ringraziare l’Arcivescovo «per due motivi: la semplice ricchezza dei suoi messaggi e delle riflessioni che ha offerto per le nostre menti, ma anche per le nostre anime, e anche l’understatement che applica a se stesso con un pacificante ottimismo. Oggi siamo messi di fronte a persone che non lo applicano e che hanno la tendenza a esasperare in negativo e drammatico le molte cose già non positive che ci circondano. Forse le radici cristiane hanno sofferto per non essere state proclamate, anche formalmente, nel Trattato di Lisbona, ma ritengo che sia importante continuare a scavare per cercare se, anche in difetto di una dichiarazione, vi siano i valori etici e cristiani nella costruzione europea. Non conosco tante forme statuali, incarnatesi nella storia recente, che siano stati anche vettori di valori, come la solidarietà tra le generazioni, la lotta contro il cambiamento climatico e il rispetto dell’ambiente».
Il tema è anche quello di una solidarietà intergenerazionale «per quanto riguarda la finanza pubblica. Qui viviamo il paradosso di vedere l’Europa come nemica, mentre essa richiama gli Stati a quanto loro stessi hanno stabilito. Dove esistono, altrove nel mondo, meccanismi giuridici che assicurano parità di trattamento tra un Paese potente e grande e uno piccolo e poco forte e alle rispettive imprese? L’Europa, come espressione fisica, è una culla di guerra, ma l’integrazione e l’Unione hanno portato la pace. Ai tempi dei Padri fondatori – come si vede nella dichiarazione di Schuman -, vi erano visione e coraggio, ora non c’è più la politica. I valori possono esserci, ma le difficoltà di realizzazione sono molto più grandi».